mercoledì 20 luglio 2011

G-HATE

Dieci anni. E non mi sento per niente cresciuto. Perché provo sempre la stessa rabbia. Forse oggi è un sentimento soffocato dallo scorrere del tempo. O chissà, una sorta di abitudine al dolore. Ma visto che peggio dell'ingiustizia c'è solo l'assuefazione alla violazione dei diritti, ho voglia di gridare, dieci anni dopo come allora, che questa città è stata vittima di un attacco violento e premeditato, messo in atto da chi ci dovrebbe difendere. Gente di cui in questi dieci anni non mi sono mai più fidato. Non ho potuto farlo. Nel 2001 io c'ero. Ero per strada. Avevo una maglietta bianca con una A cerchiata vergata di rosso e alcune scritte sparse qua e là, come mi avevano insegnato a fare i Clash. Avevo i doc Martins, il limone per i lacrimogeni, la bandana di Legambiente per ripararmi la bocca e il naso dalle schifezze che ci tiravano addosso e gli occhialoni di plastica trasparente. Un assetto da guerra per resistere a un attacco. Non ho mai scagliato una pietra. Non ho mai predicato l'odio. Ma dopo dieci anni ho capito che non ho fatto altro che odiare e piangere. Gente che viene promossa nonostante la violenza, neppure un torturatore in galera e tutto quel sangue che macchia le loro mani che non va via nemmeno se lo strofini. Mi ricordo che il 21 luglio, il giorno dopo la morte di Carlo Giuliani, un mio amico si è trovato a scambiare qualche parola piuttosto accesa con un poliziotto al casello dell'autostrada di Pegli. Gli ha gridato “assassino” e questo, dopo averci fermato, ha ribattuto che due di loro erano morti il giorno prima in piazza, ma nessuno ne parlava. Una bugia grosso come una casa. Non so se l’avesse detta per "controbattere" (ma si può fare a gara di morti?) o per semplice ignoranza. Fatto sta che la menzogna, il senso di impunità e la palese distorsione della realtà (nonostante le migliaia di fotografie e filmati che mostrano inequivocabilmente chi fossero gli aggrediti e chi gli aggressori) erano e sono ancora oggi una vera e propria ragione di vita per certe persone. L'hai ucciso tu con il tuo sasso. Ripeteva il poliziotto mentendo a se stesso e al mondo intero. Bastardo, urlava. Ma io come faccio a fidarmi di voi?

giovedì 7 luglio 2011

We ezer!

E alla fine li ho visti questi Weezer. Il gruppo che non ha mai cagato di striscio l'Italia nonostante sia in giro da quasi vent'anni. Misteri dei nostri cazzo di promoter, che portano ogni anno gli Iron Maiden ma dal '94 a oggi (anno del botto del "Blue album") non sono ancora riusciti a portare dalle nostre parti Cuomo e compagni. E allora, tanto per sfoderare un po' di saggezza contadina, se la montagna non va da Maometto, io me ne vado a Londra. Che lì gli Weezer ci suonano eccome. Mica cazzi. Detto questo, va premesso che se Grazia non avesse avuto l'intuizione, la voglia e i soldi per mandarmi (grazie piccola) e Claudio e la Giulia non avessero acconsentito a ospitarmi un paio di giorni a Fisbursy dove gli ho pure rotto la porta della doccia e scroccato da mangiare, magari me ne sarei stato a farmi le pippe a Genova, sognando questo concerto chissà ancora per quanto. E invece... Invece ho preso l'aereo, il treno che dall'aeroporto ti porta a Liverpool street, la metropolitana fino ad Oxford circus e ho mollato il trolley in ufficio da Claudio (sì quello dove fanno gli effetti visivi per "Harry Potter”, rosiconi); mi sono addentrato a Soho e ho comprato "So alone" di Johnny Thunders a 4 pound (solo cd a sto giro, che sennò la Ryan mi fa pagare di nuovo il sovrapprezzo). Il giorno dopo sono andato di buon ora a Camdem, solo per scoprire che All Ages Records (negozio di solo punk, hc e garage) apriva a mezzogiorno. Alla fine, dopo una caccia durata tutta la mattina, mi sono portato via i Crucifix, gli Ergs! e gli Angelic Upstarts. Il pomeriggio è passato lento tra un giro in metro e tanta strada a piedi, con le offerte di Hmv a farmi gola (per 13 pound ho comprato "Le noise" di Neil Young, "Super ape" degli Upsetters e il disco omonimo dei Drums), Covent Garden, di nuovo Soho, il cheesecake e così via. Mi sono tenuto leggero per la grande serata e quando ho finalmente cambiato la mia prevendita, fatto la coda e sono entrato alla Brixton Accademy in discesa, con Claudio e Giulia eccitati come bambini, ho capito che era fatta. Ero lì a due metri da quel cazzo di palco. E quando gli Weezer hanno aperto con "The sweater song", la prima canzone di Cuomo e co. che ho ascoltato nella mia vita nel lontano '97 grazie a una lurida cassettina dei Propagandhi che aveva un paio di pezzi di riempitivo (fra cui gli Weezer, appunto): bhé lì mi si è illuminato il cuore. E poi "My name is Jonas", "Holyday" e tutte le canzoni del "Blue album", meno due o tre, una in fila all’altra. E tanto "Pinkerton". E zero tamarrate. Cuomo che saltava come un folletto, in bilico fra Woody Allen e gli aiutanti di Babbo Natale. E la cover di "Teenage dirtbag" che fa tanto “quanto eravamo nerd negli anni Novanta e quanto siamo vecchi ora”. E vabbé dai, c’è stata pure la cover di "Paranoid android" di quel gruppo là. Insomma una scaletta da lacrime. Tanto che ieri, una volta finito il concerto, insieme a tutti quei bicchieri di plastica spiccicati sul pavimento della Brixton Accademy, c'era anche il mio cuore di sedicenne. Straziato dalla gioia. Perché quella cassettina mi aveva colpito così tanto che volevo avere a tutti costi quel disco. E così, alla fine di una ricerca per nulla semplice, ero finalmente riuscito a mettere le mani sul quel misterioso album blu di post-grunge, come l'aveva definito un mio amico. L’avevo comprato a Varazze nell’estate del ‘98 da Luca. Costava 15 mila lire perché era usato. Botta di culo. Avevo giusto quelle in tasca, perché me le avevano date i miei per andare al mare. E allora l'ho preso senza indugi. Fanculo i soldi per il pranzo e quelli per il treno di ritorno. Ho digiunato in spiaggia e mi sono chiuso in cesso per tutto il tragitto. Quando sono tornato a casa e ho messo il cd nello stereo non la smettevo più di ridere e di cantare, provando a inventarmi le parole. Come ho fatto anche ieri, tredici anni dopo, a Londra.