domenica 5 agosto 2018

"New York Rock" è bello ma non ci vivrei - Perché il libro di Blush mi è piaciuto a metà


Quando ho finalmente stretto tra le mani "New York Rock - Dalla nascita dei Velvet Underground al declino del CBGB" dei Steven Blush (tradotto in italiano da Spittle/Goodfellas) ero convinto di aver trovato un altro Santo Graal dell'editoria punk. Anche perché, memore del bellissimo - o, almeno, è così che me lo ricordo - "American punk hardcore" pubblicato nel 2007 da Shake, l'idea di leggere un altro volume firmato da Blush sulla mia musica preferita mi entusiasmava non poco. Fin alle prime pagine, però, mi sono accorto che "New York Rock" non sarebbe stata una lettura particolarmente avvincente.
Intendiamoci: siamo di fronte a un libro prezioso, che riscostruisce con dovizia di particolari la scena musicale della Grande Mela dall'inizio degli Anni Sessanta a oggi (anche se si comincia a fare sul serio, come suggerisce il sottotitolo, proprio dai Velvet Underground e quindi verso la fine dei sixties). Ma l'idea dell'autore di non affrontare organicamente - a mo' di romanzo, diciamo - l'intera vicenda e di suddividerla in capitoli-schede con sezioni sempre uguali e titoli come "La nascita", "La scena", "La musica" e "Il declino", rende "New York Rock" più che un vero e proprio libro da leggere tutto d'un fiato, una sorta di catalogo di luoghi, club, band e dischi. Una scelta che, alla lunga, risulta un po' stucchevole.
Risfogliando "American punk hardcore" mi sono accorto che, anche per quel mitico volume, Blush aveva utilizzato un metodo simile, seppur meno statico. E forse dovrei  rileggerlo per capire se oggi avrei per quel libro le stesse riserve che nutro per "New York Rock". Chissà: sarà stato l'argomento - all'epoca era davvero difficile trovare, in italiano, un volume che parlasse così diffusamente dell'hc americano degli Anni Ottanta - o forse sarà stata colpa del mio entusiasmo giovanile: avevo 11 anni di meno e tanta fame di storie punk in più. Fatto sta che i ricordi che mi suscita "American punk hardcore" sono molto diversi dalla sensazioni trasmesse da questa nuova pubblicazione. E non è un caso che mi ci vollero appena tre giorni per polverizzare le sue 462 pagine, mentre ho impiegato quasi un mese a far fuori le 500 facciate di "New York Rock". Certo, il volume oggetto di questa recensione è talmente eterogeneo e affronta così tante scene musicali diverse che è difficile entusiasmarsi per tutte le vicende raccontate (cosa che è invece più semplice per una monografia come "American punk hardcore"). Ma non credo sia solo questo il punto.
Il problema di "New York Rock" è che, dopo poche pagine, si ha la sensazione di trovarsi di fronte a un lungo elenco di band e album, con pochissime notazioni critiche: una sfilza di nomi davvero difficili da ricordare una volta interrotta la lettura; e questo che non aiuta ad affezionarsi al libro. Blush deve aver fatto un lavoro di ricerca enorme - anche se molte storie le ha vissute direttamente sulla propria pelle - per mettere insieme tutte queste informazioni. Ma pur restando imprescindibile il valore documentale di questo testo, credo che conserverò "New York Rock" più che altro come una buona guida per scoprire "nuove" band del passato che fino a oggi ignoravo (e in questo caso il libro di Blush è una vera e propria miniera di informazioni).
Al di là delle cretiche "letterarie", comunque, in "New York Rock" ci sono molti spunti interessanti: soprattutto quando Blush parla di scene e periodi poco battuti dall'editoria musicale (o magari sono io a saperne poco e niente). Perché se del CBGB, del New York hardcore, ma anche dei Velvet Underground e della no wave è già stato scritto di tutto, ho letto con grande interesse e curiosità - soprattutto nell'ultima parte del volume - i focus relativi alla nascita e lo sviluppo della scena anti folk e di quella garage revival, dell'alt rock di Hoboken e soprattutto del revival punk dei primi Novanta (il giro legato ai D Generation e a una miriade di altre band pazzesche e sottovalutate). Forse "New York Rock" sconta proprio il fatto che sulla musica "classica" della Grande Mela si è scritto e pubblicato tantissimo negli ultimi 50 anni e che riparlare oggi di certe band come Ramones, Patti Smith e Sonic Youth rischia di risultare un po' superfluo, anche se a scriverne è un protagonista diretto come Blush. Per altri versi, proprio grazie al suo carattere didascalico, questo libro potrebbe diventare il volume definitivo del rock newyorkese: il compendio di oltre mezzo secolo di musica incredibile, capace di cambiare il mondo. Ma se cercate un libro rock (o meglio: punk) che vi faccia battere il cuore e vi tenga svegli la notte a divorare le pagine una dopo l'altra, lasciate perdere.