mercoledì 1 agosto 2012

Tony Sly and the family stoned

Sono qui che mi bevo l'ennesima birra presa dal frigo e ascolto i No Use For A Name. Come il più tipico e insulso fan sconvolto, appena ho saputo che Tony Sly, il cantante e fondatore dei No Use, era morto, mi sono buttato sul divano e ho cominciato ad attaccarmi alla bottiglia. Nel verso senso della parola. Carlsberg gelata, perché alla Coop erano in offerta. Prima di stappare la seconda birra, però, ho preso il vinile di "Leche con carne" e l'ho infilato sul piatto. E appena finirà il lato B, butterò dentro lo stereo il cd di "More betterness, il mio album preferito dei No Use e anche l'unico che abbia veramente comprato (quell'altro me l'ha dato in comodato d'uso Andre). Insomma per farla breve sta notiza della morte di Tony Sly mi ha sconvolto. Letteralmente. Cazzo: aveva 41 anni e sul sito della Fat non c'è scritto quasi nulla sulle cause. Dicono solo che Tony non c'è più e bla bla bla. Il motivo al momento resta ignoto. Non che importi poi molto, per carità, però quando muore qualcuno che ti ha tenuto compagnia per così tanti anni, prima nella tua cameretta e poi nel buco che hai eretto a tua nuova ed eslcusiva dimora, è normale voler conoscere ogni minimo dettaglio sull'accaduto.
Anche perché - diciamocelo - non è che io i No Use gli ascoltassi tutti i giorni. E come ho detto prima non li seguivo neanche in maniera morbosa, da comparmi ogni loro singolo disco. Nonostante questo però li ho sempre considerati un gruppo speciale, che ha associo a parecchi bei momenti della mia adolescenza e dei miei vent'anni. La prima volta che li ho visti dal vivo non sapevo molto di loro. Era il 2000, credo, e mi trovavo a Bologna per il secondo Indipendent Day Festival. I No Use hanno suonato nel cuore del pomeriggio. Sotto un sole da vertigini e allucinazioni mistiche. Ma la cosa che ricordo di più di quel caldo giorno di fine agosto (forse addirittura di inizio settembre) di dodici anni fa è un tizio coi capelli rossi e la maglietta dei Descendents, che, in mezzo al pogo polveroso, canta spensierarato e a scuarcia gola "Coming too close". Una scena che chissà per quale motivo mi è rimasta stampata nella testa.
Qualche anno dopo invece, nel 2005, li ho rivisti al primo Rock in Idro insieme a un'ammucchiata di band da lacrime agli occhi (Nofx, Offspring, Me First, Pennywise, Turbonegro, Hives, Millencolin: la summa della mia adolescenza hardcore melodica). E anche in quel caso Tony e compagni non si sono risparmiati. Ci hanno regalato quasi un'ora di melodie cristalline e chitarre elettriche, belle canzoni e sorrisi.
Anche perché se devo essere proprio sincero (e qui forse mi sputtano definitivamente) i No Use che ho sempre amato di più sono stati quelli del medio-ultimo periodo. Quelli più melodici e power-pop, insomma, magari un po' scontanti, ma sempre forti della stupefacente capacità di Tony di scrivere pezzi magnifici. Forse da qualche anno erano diventati un gruppo più pop-core, che una band punk-rock. Ma per me non è mai stato un problema. Anzi, quando sentivo la voce cristallina di Mr.Sly rincorrera la sua chitarra Les Paul sulla classica ritmica hc melodica anni Novanta non potevo fare a meno di sorridere. D'ora in poi sarà più difficile.