lunedì 21 novembre 2011

Bassa fedeltà

Tanti mesi di stop perché fondamentalmente ho avuto un sacco da fare. O più semplicmente non avevo più voglia di scrivere stronzate (lo faccio già al lavoro). Ma le classifiche di fine anno sono un'altra cosa. Insomma: quella è roba sacra e anche se questo strano 2011 non è ancora finito sono pronto a stilare almeno le prime due liste del meglio di degli ultimi dodici o forse dovrei dire undici mesi visto che lo faccio a novembre. (Se dovessi scoprire qualche capolavoro nei prossimi giorni a venire, saranno tutti cazzi miei). Allora:

I 10 dischi migliori usciti nel 2011

Il sorprendente album d'esordio dei cani (Cani)
The sun is down and the night is riding in (Crusades)
Il problema di girarsi (Mezzala)
Live 09-04-2011 (Diaframma)
Racey roller (Giuda)
Love is gone (Love Boat)
First world manifesto (Screeching Weasel)
Per proteggere e servire (Smart Cops)
Goodbye bread (Ty Sagall)
Nati per subire (Zen Circus)


Le 10 migliori ristampa uscite nel 2011

Un ragazzo di strada (I Corvi)
Nerorgasmo (Nerorgasmo)
Light/dark: singles, eps and early more 1981-1987 (Not Moving)
Another way (Teenage Bottlerocket)
Vermica (Verme)
Shanking street (Sick Rose)
Teenage hate (Reatards)
Vita e opinioni di Nando Scalpellini, gentiluomo (Zen Circus)
Doctor seduction (Zen Circus)
Stanze (Massimo Volume)

mercoledì 3 agosto 2011

Welcome to Sarajevo

Ci sono vacanze perfette. Che ti fanno sentire a casa sin dal primo giorno e straniero al tuo ritorno. Città che hai sempre visto scorrere nelle immagini televisive, con cannoni e mitraglie spianate, che oggi sono molto più belle e civili di quella in cui sei nato e dove l'ultima guerra l'hanno fatta i tuoi nonni. E' scontato dirlo (e credo che lo sappia fare molto meglio Grazia, compagna non solo di viaggio), ma Sarajevo con le sue bellissime contraddizioni e il suo crocevia di culture e religioni resta uno dei posti più densi e affascinanti che abbia mai visto. Un misto fra la grande tradizione illuminista e l'orgoglio slavo: i bar che non vendono alcolici davanti alle moschee e un culto così profondo e naturale che annienterebbe l'odio di molto odiatori di professione. Perché anche se si tratta pur sempre di una vacanza non si possono non notare certe arretratezze culturali del luogo in cui vivi di fronte a tanta bellezza. E poi il viaggio in autobus, fra le valli della Bosnia e della Croazia, fra foreste e città, fino a un gioiello chiamato Mostar e poi a Dubrovnik, dove la spiaggia confina con le mura massicce, l'acqua è cristallina e la storia si mescola con i ristoranti di carne e pesce. Isole verdi dov'è vietato fumare, come a Lokrum, birre gelate e la sensazione che tutto abbia un senso. Per davvero. Ma raccontare un sogno è sempre difficile.

mercoledì 20 luglio 2011

G-HATE

Dieci anni. E non mi sento per niente cresciuto. Perché provo sempre la stessa rabbia. Forse oggi è un sentimento soffocato dallo scorrere del tempo. O chissà, una sorta di abitudine al dolore. Ma visto che peggio dell'ingiustizia c'è solo l'assuefazione alla violazione dei diritti, ho voglia di gridare, dieci anni dopo come allora, che questa città è stata vittima di un attacco violento e premeditato, messo in atto da chi ci dovrebbe difendere. Gente di cui in questi dieci anni non mi sono mai più fidato. Non ho potuto farlo. Nel 2001 io c'ero. Ero per strada. Avevo una maglietta bianca con una A cerchiata vergata di rosso e alcune scritte sparse qua e là, come mi avevano insegnato a fare i Clash. Avevo i doc Martins, il limone per i lacrimogeni, la bandana di Legambiente per ripararmi la bocca e il naso dalle schifezze che ci tiravano addosso e gli occhialoni di plastica trasparente. Un assetto da guerra per resistere a un attacco. Non ho mai scagliato una pietra. Non ho mai predicato l'odio. Ma dopo dieci anni ho capito che non ho fatto altro che odiare e piangere. Gente che viene promossa nonostante la violenza, neppure un torturatore in galera e tutto quel sangue che macchia le loro mani che non va via nemmeno se lo strofini. Mi ricordo che il 21 luglio, il giorno dopo la morte di Carlo Giuliani, un mio amico si è trovato a scambiare qualche parola piuttosto accesa con un poliziotto al casello dell'autostrada di Pegli. Gli ha gridato “assassino” e questo, dopo averci fermato, ha ribattuto che due di loro erano morti il giorno prima in piazza, ma nessuno ne parlava. Una bugia grosso come una casa. Non so se l’avesse detta per "controbattere" (ma si può fare a gara di morti?) o per semplice ignoranza. Fatto sta che la menzogna, il senso di impunità e la palese distorsione della realtà (nonostante le migliaia di fotografie e filmati che mostrano inequivocabilmente chi fossero gli aggrediti e chi gli aggressori) erano e sono ancora oggi una vera e propria ragione di vita per certe persone. L'hai ucciso tu con il tuo sasso. Ripeteva il poliziotto mentendo a se stesso e al mondo intero. Bastardo, urlava. Ma io come faccio a fidarmi di voi?

giovedì 7 luglio 2011

We ezer!

E alla fine li ho visti questi Weezer. Il gruppo che non ha mai cagato di striscio l'Italia nonostante sia in giro da quasi vent'anni. Misteri dei nostri cazzo di promoter, che portano ogni anno gli Iron Maiden ma dal '94 a oggi (anno del botto del "Blue album") non sono ancora riusciti a portare dalle nostre parti Cuomo e compagni. E allora, tanto per sfoderare un po' di saggezza contadina, se la montagna non va da Maometto, io me ne vado a Londra. Che lì gli Weezer ci suonano eccome. Mica cazzi. Detto questo, va premesso che se Grazia non avesse avuto l'intuizione, la voglia e i soldi per mandarmi (grazie piccola) e Claudio e la Giulia non avessero acconsentito a ospitarmi un paio di giorni a Fisbursy dove gli ho pure rotto la porta della doccia e scroccato da mangiare, magari me ne sarei stato a farmi le pippe a Genova, sognando questo concerto chissà ancora per quanto. E invece... Invece ho preso l'aereo, il treno che dall'aeroporto ti porta a Liverpool street, la metropolitana fino ad Oxford circus e ho mollato il trolley in ufficio da Claudio (sì quello dove fanno gli effetti visivi per "Harry Potter”, rosiconi); mi sono addentrato a Soho e ho comprato "So alone" di Johnny Thunders a 4 pound (solo cd a sto giro, che sennò la Ryan mi fa pagare di nuovo il sovrapprezzo). Il giorno dopo sono andato di buon ora a Camdem, solo per scoprire che All Ages Records (negozio di solo punk, hc e garage) apriva a mezzogiorno. Alla fine, dopo una caccia durata tutta la mattina, mi sono portato via i Crucifix, gli Ergs! e gli Angelic Upstarts. Il pomeriggio è passato lento tra un giro in metro e tanta strada a piedi, con le offerte di Hmv a farmi gola (per 13 pound ho comprato "Le noise" di Neil Young, "Super ape" degli Upsetters e il disco omonimo dei Drums), Covent Garden, di nuovo Soho, il cheesecake e così via. Mi sono tenuto leggero per la grande serata e quando ho finalmente cambiato la mia prevendita, fatto la coda e sono entrato alla Brixton Accademy in discesa, con Claudio e Giulia eccitati come bambini, ho capito che era fatta. Ero lì a due metri da quel cazzo di palco. E quando gli Weezer hanno aperto con "The sweater song", la prima canzone di Cuomo e co. che ho ascoltato nella mia vita nel lontano '97 grazie a una lurida cassettina dei Propagandhi che aveva un paio di pezzi di riempitivo (fra cui gli Weezer, appunto): bhé lì mi si è illuminato il cuore. E poi "My name is Jonas", "Holyday" e tutte le canzoni del "Blue album", meno due o tre, una in fila all’altra. E tanto "Pinkerton". E zero tamarrate. Cuomo che saltava come un folletto, in bilico fra Woody Allen e gli aiutanti di Babbo Natale. E la cover di "Teenage dirtbag" che fa tanto “quanto eravamo nerd negli anni Novanta e quanto siamo vecchi ora”. E vabbé dai, c’è stata pure la cover di "Paranoid android" di quel gruppo là. Insomma una scaletta da lacrime. Tanto che ieri, una volta finito il concerto, insieme a tutti quei bicchieri di plastica spiccicati sul pavimento della Brixton Accademy, c'era anche il mio cuore di sedicenne. Straziato dalla gioia. Perché quella cassettina mi aveva colpito così tanto che volevo avere a tutti costi quel disco. E così, alla fine di una ricerca per nulla semplice, ero finalmente riuscito a mettere le mani sul quel misterioso album blu di post-grunge, come l'aveva definito un mio amico. L’avevo comprato a Varazze nell’estate del ‘98 da Luca. Costava 15 mila lire perché era usato. Botta di culo. Avevo giusto quelle in tasca, perché me le avevano date i miei per andare al mare. E allora l'ho preso senza indugi. Fanculo i soldi per il pranzo e quelli per il treno di ritorno. Ho digiunato in spiaggia e mi sono chiuso in cesso per tutto il tragitto. Quando sono tornato a casa e ho messo il cd nello stereo non la smettevo più di ridere e di cantare, provando a inventarmi le parole. Come ho fatto anche ieri, tredici anni dopo, a Londra.

martedì 28 giugno 2011

Quando mi incazzo io

Quando ho letto che Vasco aveva deciso di appendere il microfono al chiodo ho esulato. E non solo perché mi sono rotto le palle di Vasco (in realtà non mi è mai piaciuto a parte qualche pezzo degli anni Ottanta) o perché mi abbiano fatto incazzare le sue ultime dichiarazioni sul referendum e su Berlusconi (che idiota…). Il vero problema è che gente come Vasco deve piantarla e basta. Parlo di tutta quella manica di ultracinquantenni o sessantenni che ci stanno fottendo il futuro e prendono cinque volte il nostro stipendio facendo la metà del lavoro che facciamo noi. Di quella gente del cazzo che non vuole mai andare in pensione, neppure quando potrebbe. Di quella cazzo di generazione di sessantottini che ha preso il poter 40 anni fa e ancora non l'ha mollato. E nella musica è la stessa cosa. Con il problema ulteriore che in Italia non esiste alcuna alternativa ai soliti noti di cui Vasco è l'emblema. Qualche anno fa quel coglione di Zucchero disse una frase che riassume piuttosto bene il pattume musicale e sociale in cui è immerso il nostro Paese: "Io sono il blues, Vasco è il rock e Eros è il pop". Mavaffanculo. Ma che cazzo dici? Non è possibile che esista ancora della gente che pensi che la musica sia solo questi quattro cialtroni del cazzo che passano in tv o alla radio. No, merda, non è possibile. Perché poi mi ci incazzo davvero. Mi va in pappa il cervello. E comincio a sclerare. C'è un mondo là fuori. Decine di band che suonano canzoni fantastiche. Dischi che sanno farti emozionare, che ti prendono a calci e che sono in grado di aprirti il cervello come una scatoletta di tonno. Gente di vent'anni, di trenta o di quaranta che suona pop, blues e rock (tanto per rentare dentro ste cazzo di tre categorie) che bolliti come Eros, Vasco e Zucchero gli piscia nel culo. Letteralmente. E allora non mi fate incazzare. Prendete coraggio e saltate il fossato. Basta questa merda. Basta questo piatto mondo di musica inutile. Cazzo!

lunedì 20 giugno 2011

Muori Milano Muori!

Ho finito di leggere "Muori Milano Muori!" di Gianni Miraglia (Edizioni Elliot) quasi un mese fa. Ma ne scrivo solo adesso perché prima non ho avuto il tempo. I soliti casini col lavoro e le mie altre faccende collaterali, che mi tengono lontano da sto blog ed evitano che spari più cazzate di quelle che faccio, hanno posticipato questa mia recensione non richiesta, che oggi - cari miei - vi beccate fresca fresca. Per prima cosa, questo libro è un gran bel libro. E quindi compratelo, rubatelo, chiedetemelo in prestito (però poi ridatemelo, che Gianni me l'ha pure firmato). Detto questo, la trama, a grandi linee, è la storia di un fallimento, economico ed esistenziale, ma anche di un riscatto. Soprattutto emotivo. La vicenda è ambientata nella Milano del 2015, a pochi giorni dall'apertura dell'Expo (tanto che i capitoli scorrono come un conto alla rovescia). Berlusconi è appena morto (e già questo dovrebbe indurvi a leggere la storia), ma la situazione del nostro Paese peggiora sempre di più. Insomma è come adesso. Soltanto che non ha vinto Pisapia (o forse sì, chissà). L'Italia e Milano sono tutto in casino. E il protagonista è stato appena licenziato, si è separato e ha perso tutto tranne un ex collega, deciso a farsi giustizia o quantomeno a sopravvivere. Vabbè altro non vi dico, altrimenti vi racconto tutto il libro e poi non lo leggete. Anche se, più che la storia vera e propria, sono le immagini, le frasi e le istantanee che costellano questo romanzo a renderlo così speciale e diverso dagli altri. A mettermi la pulce nell'orecchio per primo – come sto tentando di fare adesso io con voi - è stato Andrea Valentini, che su facebook parlava di "Muori Milano Muori!" con un certo entusiasmo. Poi altra gente, che ora non ricordo, ha cominciato a citare pezzi del romanzo, a mo' di hiuku. E così, quando ho scoperto che Miralgia sarebbe venuta a Genova (dove per altro ha vissuto i primi vent’anni della sua vita facendo parte della scena punk e hardcore cittadina) e che quel giorno - botta di culo - ero in festa, mi sono subito fiondato alla presentazione. Naturalmente l'incontro era organizzato da BooksIn, il nuovo Books in The Casba di vico del Fieno. E, sorpresa delle sorprese, il relatore era Mario "Welcome" Benvenuto dei Dirty Actions. Gianni, dal canto suo, sembrava piuttosto intimidito e parlava a bassa voce. Insomma un tipo a posto. Anche se credo che gli avrei comprato il libro persino se fosse stato uno stronzo, viste tutte le aspettative che avevo. E invece no, anche il suo modo di essere un anti-scrittore senza pose o menate varie mi ha convinto. Per non parlare del su tatuaggio dei Black Flag. Lo so continuo a giudicare la gente per la musica che ascolta. Ma ogni volta finisce che ci prendo.


lunedì 6 giugno 2011

Cani e canuti

Sono tre o quattro giorni che non ascolto altro. Dico, l'avete sentito sto minchia di disco dei Cani? Non il gruppo hc anni Ottanta, quello di Roma che sembra Max Gazzè in acido, mentre prova a coverizzare Wavves. Io, porca puttana, ci sto andando proprio a bagno. E se infilo una dopo l'altra tutte queste maledette parolacce è soprattutto perché non riesco ancora a capire il motivo di questa mia ossessione. D'altra parte non siamo mica di fronte a qualcosa di nuovo (o forse sì?). Il pop di classe coi sintetizzatori è roba da gruppo anni Ottanta inglesi (tipo quelli descritti nella parte finale di "Post-punk" di Raynolds). Per non parlare della formula one-man-band con nome collettivo (Le Luci della Centrale Elettrica vi dicono qualcosa?) o dei testi pungenti, ripetitivi, ma ben scritti. Però dai, ci dev'essere per forza dell'altro. Perché non basta unire due o tre elementi interessanti, per mettere nel sacco uno come me. In fondo le mie band di riferimento sono ancora gli Husker Du, i Clash, i Ramones, gli Smiths, gli Screeching Weasel, i Kina, gli Who. Che cazzo c'entrano i Cani con tutta sta roba? Probabilmente niente. Però mi è bastato sentire "Post punk" (che titolo! che titolo!) per alzarmi dal letto e mettermi a ballare come un cretino davanti alla finestra. E poi i "Pariolini di 18 anni", "Le coppie", "Wes Anderson". Tutte momentaneamente recuperate su youtube, in attesa di comprare il disco. E tutte belle, cazzo. Roba che sicuramente (lo dico per cercare di trovare una via d'uscita onorevole) il prossimo album o non ci sarà o, peggio, si rivelerà una ciofeca. Il tipo poi, dico il titolare del moniker I Cani, sembra piuttosto saccente e poco incline alla simpatia (leggere l'intervista su Rumore del solito Maurizio Blatto per credere). Da quel che vedo sulla rivista il Cane in questione ha 25 anni e spara sentenze (anche se poi io ne ho quasi 29 e sentenzio da quando ero in prima superiore...). Forse l'unica spiegazione plausibile è che le canzoni siano effettivamente molto belle. Anche perché per scorrere scorrono che è un piacere, hanno melodie agrodolci e sporche e testi che ascolterei per ore. Trasudano quel minimo di mitologia pop capace di esaltare i malati di musica e sciorinano quei cinque o sei (diciamo pure venti) riferimenti alla scena alternativa, che se sei in grado di riconoscerli fai pure bella figura con gli amici. E poi tutti quanti i pezzi ti lasciano quel sano gusto amaro, come sole le commedie all'italiana sono capaci di fare. Un momento: non sto certo dicendo che sti Cani sono come un film con Gassman e Tognazzi, figuriamoci. Però i pezzi sono stati capaci di farmi muovere il piedino per seguire il ritmo accattivante della melodia e, allo stesso tempo, mi hanno colpito per l’uso disinvolto e azzeccato delle parole. Come se le canzoni degli Abba avessero le liriche dei Negazione. Brutta bestia invecchiare.

venerdì 3 giugno 2011

Chiedi chi è Maurizio Blatto

Volevo essere Maurizio Blatto. Chi? Ma sì quello di Rumore, che ha il negozio di dischi a Torino insieme al signor Franco e ha pubblicato uno dei libri più belli del 2010, "L'ultimo disco dei moicani"... Vabbè, quel tipo lì. Come mai? Ma perché fa un lavoro che ho sempre sognato di fare è cioè vende vinili e cd (e chi se ne frega se c'è la crisi e la gente scarica), tiene varie rubriche sulla mia rivista musicale italiana preferita e soprattutto scrive da dio. Davvero. Non è una presa per il culo, giuro. Anzi: se mai Maurizio dovessi leggere queste righe (speriamo di no) sappi che sono piuttosto serio (e persino sobrio). L’ho capito definitivamente oggi, leggendo il tuo ennesimo "my tunes" da antologia uscito sul nuovo numero di Rumore, in cui parli di "Waiting in vain" di Bob Marley. Non tanto per la scelta della canzone, che approvo - ci mancherebbe -, ma soprattutto per la prima parte del pezzo. Quello in cui racconti delle manie dei malati di musica come te (e me). Anch'io quando vado a casa della gente, la prima cosa che faccio è andare a guardare è lo scaffale dei dischi (sempre che riesca a trovarlo). Per non parlare del fatto che (ok ora lo posso ammettere) anche a me capita spesso di gettare un occhio, magari in maniera falsamente distratta, fra il cruscotto e l'autoradio delle macchine parcheggiate, per capire cosa ascolta il proprietario. Così, senza un motivo plausibile. Solo per una stupida curiosità da consumatore compulsivo di dischi. Insomma: i tuoi tic sono i miei. O forse dovrei dire i nostri, visto che il cerchio è relativamente ampio e conosco altri pazzi del genere. La cosa incredibile, poi, è che leggendo "L''ultimo disco dei moicani" e passandolo alla mia ragazza (che non ha certo le mie fissazioni) mi sono reso che i punti in cui lei rideva di più, a me apparivano come la normalità più assoluta. Tanto che, invece, di additare i vari clienti-macchietta, mi è capitato persino di capirli. Ok, diciamo pure che ho le mie belle manie. E Gian, il gestore di Disco Club, il mio Backdoor di Genova, ne sa qualcosa. Però davvero, se non avete mai letto Maurizio Blatto fatelo. A casa ho un po’ di arretrati di Rumore e il suo ultimo libro. Basta che suoniate al campanello dopo le dieci e mezza di sera. Che prima lavoro.

venerdì 20 maggio 2011

La torre di Babele

A volte guardo quella torre di Babele che sta accanto al mio divano (dieci piani di cd con annesso mini-mobiletto stracolmo) e penso agli ultimi 15 anni della mia vita spesi a comprare dischi e a macinare concerti. Una passione o un'ossessione secondo i miei genitori (e meno male che non abito più con loro da tre anni, altrimenti sarebbero impazziti). Un istinto irrefrenabile, oserei dire io, che per quanto mi riguarda non è mai stato fine a se stesso. Insomma ogni singolo fottuto vinile o cd che ha varcato la soglia di casa mia ha o per lo meno ha avuto un senso per la mia educazione musicale. Certo, tra i 1200 e passa esemplari incasellati uno accanto all’altro potete trovare anche un paio di cose strane come i Timoria, che non ascolto più dal '99 o qualche cagata punk adolescenziale per la quale molti duri e puri della musica potrebbero crocifiggermi (no le Pornoriviste mi facevano cagare anche a 15 anni). Ma tutto sommato vado abbastanza fiero della mia discoteca personale. E poi, da bravo malato mentale, mi ricordo perfettamente dove e in che circostanza ho comprato ogni disco della mia "collezione". Volete un esempio? "Fresh fruit for rotten vegetables" dei Dead Kennedys l'ho preso a Barcellona da Revolver, dopo aver consumato una cassettina che mi aveva fatto un amico a fine anni Novanta. Il primo album dei Clash? Alla fiera del disco di Genova - forse la prima - del 1997. L'avevo pagato 10 mila lire ed è stato il mio secondo acquisto di quella giornata memorabile e per la quale avevo risparmiato i soldi della merenda per un mese (racimolando 40 misere lire...). E ancora: "Punk in drublic" dei NOFX. L'ho comprato nel negozio di musica dei vicoli accanto a Black Widow dopo uno dei miei primi scioperi a scuola. Era un sabato pomeriggio e quando sono tornato a casa pensavo di aver preso un pacco. Nel giro di pochi giorni è diventato uno dei miei album preferiti di sempre. 
Tutto questo per dire cosa? Non saprei: forse che i bei dischi, di solito, nascondono anche delle belle storie. O comunque che la ragione per cui continuiamo a sentirli e ad amarli è dovuta pricipalmente al fatto che ci ricordano pezzi della nostra vita e ci aiutano a non dimenticare da dove veniamo.

domenica 1 maggio 2011

Riecchime

E' un botto che non scrivo. Ma sono sicuro che i miei due o tre lettori non avranno sentito la mia mancanza. E poi è primavera, cazzo, e invece di stare davanti al computer è bene uscire più che se può, senza starci troppo a pensare. Comunque: la mia prolungata assenza è dovuto soprattutto a un progettino che sto cercando di portare a compimento insieme al mitico Johnny Grieco, e cioè la biografia dei Dirty Actions. Di più non posso dire, tranne che, chiunque sia interessato a raccontarmi qualcosa su questa band può contattarmi sulla mia e-mail, sul blog o su facebook: insomma fatevi sentire perchè ogni contributo è ben accetto. Per il resto? Le cose da raccontare sarebbero parecchie, dalla valanga di libri interessanti letti in queste ultime settimane (quello sugli Impact, "Brindando con i demoni", "La versione di Barney" ecc) e i dischi comprati come al solito in maniera onnivora. Una menzione speciale, in questo senso, va fatta sicuramente ai Diaframma, che sto approfondendo a colpi di cofanetti e che mi stanno prendendo davvero un casino. Anzi, mi sa che a breve butterò giù in mio sproloquio su Fiumani. E quindi preparatevi a farvi qualche bel pisolino sulle mie stronzate fuori tempo massimo su una delle band italiane più sottovalutate dal pubblico e più sopravvalutate dai giornalisti (me compreso). Ah, oggi ho comprato - pieno di speranza - il primo numero della nuova versione del "Misfatto", l'inserto satirico del Fatto Quotidiano. E devo dire che mi è parso una vera e propria cagata. Se quello di prima era così così, questo è peggio. Avendo letto poi tutto l'anteFatto (battuta), non capisco davvero il senso di quest'operazione. Vabbè

giovedì 24 febbraio 2011

Bilal

Ci sono dischi che ti cambiano la vita. E qualche volta persino delle persone. A me, pochi giorni fa è successo con un libro (un evento ciclico che si ripete ogni otto anni circa). Ma questa volta il solco è più profondo. Quando ho finito di leggere "Bilal", il capolavoro di Fabrizio Gatti, inviato dell'Espresso che chiamare collega solo in virtù di questo stupido tesserino che ci accomuna mi pare una bestemmia, ho capito che non sarei stato più lo stesso. E lo sto sperimentando ogni giorno sulla mia pelle. Non si esce vivi da una lettura come questa e, fuori da ogni retorica, si cominciano a guardare (tutte) le altre persone in maniera molto diversa. La storia raccontata da Gatti (anzi l'inchiesta, perché nulla in queste 500 pagine è inventato) è un colpo al cuore e al cervello. Si parte con il viaggio lungo il deserto che gli immigrati africani affrontano per andare in Libia (e quello che sta succedendo ora c'entra eccome con queste vicende), poi si prosegue con l'esperienza diretta nel Centro (all'epoca Cpt oggi Cie) di Lampedusa, dove Gatti si è infiltrato facendosi passare per un profugo iracheno ripescato in mare, e poi il lavoro nell'edilizia e nelle piantagioni di pomodori del Sud, fra l'arroganza dei padroni italiani e la violenza dei caporali di ogni sorta di nazionalità. Storie che si intrecciano, vite che finiscono (non sempre con la morte) e soprattutto il significato di cosa voglia dire oggi la parola immigrazione. "Bilal" dovrebbe essere un libro obbligatorio per gli studenti delle medie e delle superiori. Alla stregua di "Se questo è un uomo". Perché qui c'è dentro il genocidio di generazioni, perpetrato per il denaro e il benessere di una piccola parte di mondo che ci ostiniamo a chiamare occidentale, anche se come, dice Andrea Pomini "il Patto di Varsavia non esiste più dal 1991, il Mali è più a Ovest dell'Italia e in ogni caso la Terra è rotonda e visti dalla Cina gli Stati Uniti sono oriente". Leggetelo. Regalatelo. Fatene tesoro.



lunedì 7 febbraio 2011

Completista sarà lei!

Avete mai avuto le manie per le discografie? Io sì. E pure troppo. Nel senso che se un tempo cercavo di raccattare tutti i dischi (magari compresi anche i singoli) di quei tre o quattro gruppi che seguivo più fedelmente, ora vorrei avere tutti gli album di tutte le band. Una vera e propria malattia, come racconta anche Lester Bangs parlando dei suoi sogni di bambino. Anche perché al di là del portafoglio (che comunque langue di brutto) è una cosa che ti sfianca persino fisicamente. Prendete i Rolling Stones: mi piacciono ma (eresia) non sono un fan divorato dalla passione. E per gente come me potrebbe bastare una bella raccolta come "London years": 3cd con tutti i singoli del periodo Decca e quindi dal '63 al '70. Però tant'è, oltre a prendermi sto bel cofanetto non ho resistito e, piano piano, sto cercando tutti gli album dal '63 al '74 (dopo comincia un po' la decadenza). Tanto che l’altro giorno ne ho presi quattro in un colpo. E' un lavoro lungo e faticoso e, per non lasciarci dei capitali, mi costringe a marcare stretto il mio negozio dell'usato di riferimento, Disco Club. Ma non è finita. L'altro giorno ho ripreso in mano uno dei miei due dischi dei Briefs, punk rock niente male da Seattle un po' inglese un po' americano in stile '70, e ho deciso che volevo avere anche gli altri. Così sono andato su Wikipedia e ho preso nota degli album mancanti. Presto li metterò in ordine da Gian, dove, tra l'altro, aspetto gli ultimi dischi dei Queers che, un po' per pigrizia e un po’ per indubbia qualità, in questi anni, non ho comprato. Alla fine le loro uscite migliori sono quelle dei Novanta, lo sanno anche i sassi. Ma il germe del completista ti prende quando meno te lo aspetti. E via con le piccole follie da maniaco. Quello che mi salva è l’oculatezza. In casi come questi mai spendere più di 10-11 euro. Altrimenti è la fine.

lunedì 31 gennaio 2011

Nevermind: here's the Nirvana

Ieri ho scritto un pezzo sui vent'anni di “Nevermind” (lo trovate, se proprio volete, sulla Gazzetta del Lunedì di oggi). E per ricondurlo un po’ ai binari genovesi - siamo pur sempre un giornale locale - ho chiamato un po' di gente per sapere come i Nirvana gli avessero cambiato la vita e che influenza Kurt e compagni avessero avuto su di loro. Una piccola indagine che, anche se non me ne sono accorto immediatamente, partiva prima di tutto da me e dal mio rapporto con questa band. Un amore scoccato tardi, soprattutto per questione d'età. Molto più in là del 1991, visto che all'epoca avevo nove anni. E' successo su per giù intorno al '96-'97 quando ho iniziato ad appassionarmi alla musica rock. Mi ricordo che non sapevo nulla dei Nirvana. Perdevo il mio tempo a leggere fumetti giapponesi e a giocare ai giochi di ruolo. Insomma ero un vero nerd. Poi è arrivato il punk e ha cambiato tutto. Prima di ogni cosa la mia testa. Perché anche se ero un pivello mi sono subito reso conto che non si trattava di un genere musicale come tutti gli altri. Era un vortice. Un modo di essere, un'attitudine, come dicono i veri esperti in materia. E quando qualcuno mi ha parlato dei Nirvana, devo ammetterlo, ero un po' scettico. I capelli lunghi (che avevo portato anch'io alle medie) mi avevano un po' stupito. Poi però ho trovato "Bleach" e "Nevermind" a 10 mila lire l'uno in un vecchio negozio dell'usato (il mitico Peo). Li ho presi al volo e mi hanno devastato sin dal primo ascolto. Soprattutto "Nevermind", che a conti fatti era più immediato e melodico. Anzi aveva queste melodie acide e tristi, ma allo stesso tempo così dannatamente pop da farmi davvero uscire di testa. Come se i Sex Pistols avessero scritto delle canzoni d'amore. Il mio pezzo preferito, dopo "Smells like teen spirit" (una bomba dalla quale è difficile riprendersi, nonostante la conoscano ormai anche i nostri nonni), è sempre stato "On a plane". E ancora oggi, che mi sono rimesso dopo tanto tempo a sentire "Nevermind", ho riprovato quella gioia adolescenziale, che solo certi dischi riescono a restituirti ogni volta. Cazzo!


martedì 25 gennaio 2011

Sharif likes it

L'altra volta ho fatto un pezzo sul Mercantile in cui parlavo dei saldi di Books in the Casba e visto che molti di voi berodi (anzi esagero: tutti e tre) non leggono il miglior quotidiano genovese su piazza voglio rinfrescarvi la memoria. Fino a sabato questo - quindi affrettatevi - la libreria di via Prè mette tutto al 25% di sconto. Roba da matti. Se poi pensate che Books è anche una di quelle ultime oasi felici in cui poter entrare senza avere la minima idea di cosa comprare e poi uscire con una pila di volumi bellissimi, che sembrano scritti apposta per voi, la cosa è ancora più allettante. Insomma buttatevi a capofitto (tutto l'anno però, non solo adesso). Perché, davvero, certi negozi devono resistere e vivere il più possibile. Altrimenti verremmo sommersi solo dalle grandi catene commerciali. E addio due chiacchiere con il venditore, addio consigli, addio rapporto personale, addio tutto, cazzo. Tra l'altro in quest'ultimo periodo, come avranno notato i miei "amici" di Anobii sto macinando un libro dopo l'altro. Sono in uno di quei miei momenti onnivori. Anche perché negli ultimi tre o quattro mesi sul fronte musicale è uscito davvero di tutto. Due volumi sui Crass, - quello Shake è più interessante di quello Agenzia X e va letto prima – “Tutto qui”, la biografia dei Massimo Volume di Andrea Pomini - davvero bella e scritta alla "Please kill me" - e "Tracce di rossetto" di Greil Marcus, che devo ancora leggere. Andate e fate razzia. 



sabato 22 gennaio 2011

Brodo di cagne strategico

Non ce n'è. Quando ti arriva un pacco nella cassetta della posta con dei dischi, è come se Babbo Natale esistesse veramente. E poco importa che tu te lo sia "regalato" da solo e il postino non abbia né la barba bianca né la slitta trainata dalle renne: è una sensazione bellissima. La prima volta che ho fatto un ordine via posta era il '97 o giù di lì. Avevo appena iniziato ad ascoltare punk, dopo gli 883 e la paccottiglia da classifica che ti propinano quando sei pivello, ma non sapevo nulla di case discografiche indipendenti, dischi comprati per corrispondenza e altro. Cercavo solo "Punk's not sad" dei Crummy Stuff perché li avevo visti in tv. Così su un giornaletto (forse addirittura "Tutto musica") ho trovato l'indirizzo e il numero della Fridge Records. Ho telefonato e prenotato la mia copia. Pagamento con contrassegno. Quando il cd è arrivato mi sono sentito un eroe. E anche ieri mattina, dopo 14 anni e una maggiore dimestichezza con certe cose, quando ha suonato la postina e mi ha portato il pacco della Sometimes Recods con l'accoppiata "Ordine '91-'96" degli Starfuckers (raccoltone con dentro "Brodo di cagne strategico", "Sinistri" e altra roba) e "Sorvegliare e punire" dei Detonazione (altra ristampa) ero eccitato come un quindicenne. Tra l'altro questi due dischi, che ho appena iniziato ad ascoltare (sto finendo con gli Starfuckers, uno sballo) sono il classico feticcio - e non solo - di chi deve recuperare gli anni perduti. Gente come me, che era troppo piccola nel '91 per pensare soltanto che potessero essere concepiti dischi come "Brodo di cagne strategico". Era un po' di tempo che non recuperavo una ristampa di roba italiana del bel tempo che fu. Mi mancano i dischi che uscivano qualche anno fa con Soa Recods, Foad e Eu91Serbianleague. Speriamo tornino a farsi sentire




giovedì 20 gennaio 2011

Ben Weasel is an asshole, Ben Weasel is a jerk

Quest'anno gli Screeching Weasel compiono 25 anni. Io ne faccio 29 e ne sono passati 13 da quando li ho ascoltati per la prima volta. In realtà non è che ne sia rimasto subito folgorato. Avevo questa cassetta che mi aveva fatto un ragazzo più grande, con dentro una sorta di raccoltone autoprodotto della band. E mi ricordo che l'ascoltavo con una certa insistenza. Ma non ho mai sentito la necessità di comprarmi un disco. Povero scemo, mi viene da dire. Insomma, se ora penso al fatto che gli Weasel sono a tutti gli effetti uno dei miei gruppi preferiti insieme a gente come Clash, Husker Du, Fear e Descendents (grandi classici tanto per dire), mi scappa pure un po' da ridere. Però cosa volete che vi dica. Il primo album originale ho finito per riceverlo in regalo al compleanno una decina di anni fa. Ed era l'eccellente "My brain hutrs", un disco che resta – a mio parere - una delle vette assolute del punk-rock di tutti i tempi. Comunque. Anche in quel frangente qualcosa era scattato, ma non la scintilla fatale. C'è voluto come al solito un amico, Matteino (e chi sennò), a darmi la scossa finale e a convincermi a recuperare tutto quello che Ben, Vapid e company avevano inciso fino a quel momento Anzi fino a “Bark like a dog”, visto che gli altri album su Fat fanno abbastanza cagare rispetto al resto della produzione. Perché anche se un gruppo è grande, non potrà certo esserlo per sempre. E infatti agli Screeching Weasel è successo propri questo. Fra scioglimenti, follie varie e reunion sono diventati, col tempo, un po' patetici. Certo, la voce di Ben e - quando c'è - il basso di Vapid restano ancora eccitanti. Però, cazzo, niente a che vedere con le cose incise negli anni Novanta. Un discorso che vale pari pari per i Riverdales, che altro non sono se non gli Screeching Wasel un po' più ramonesiani (pensate sia possibile?) e con un altro nome. Dopo due dischi bellissimi, intensi e pieni di hit, hanno inciso un "Phase 3" mediocre, ma sempre interessante e poi se ne sono venuti fuori con un "Invasion Usa" che sembra un po' la parodia di quello che hanno sempre fatto. Ci saranno sì e no due o tre pezzi ai livelli dei primi due lavori e poi tanto mestiere. Cosa che se fosse un disco di qualche altra band sarebbe stato un mezzo capolavoro. Ma i Riverdales, cazzo, sono i Riverdales. L'altra volta poi, parlando con Matteino del più e del meno (quindi di musica) è venuto fuori che dopo "Invasion Usa" i nostri hanno fatto uscire pure un quinto cd che si chiama "Tarantula". Un'altra mezza ciofeca, sembra, che però ordinerò al più presto da Disco Club, come sempre. Al cuore non si comanda e state certi che, prima o poi, recupererò pure gli album Fat degli Screaching Wasel. Tra l’altro la cosa che più mi fa incazzare è che con tutta probabilità non li vedrò mai dal vivo visto che, per colpa di quel coglione di Ben, non vogliono venire a suonare in Europa (ogni tanto si riformano come accadrà a maggio a Chicago). A quanto sembra mister Weasel ha paura dell'aereo ed è, fondamentalmente, un misantropo del cazzo. Che vi devo dire? Buon compleanno donnole.

martedì 18 gennaio 2011

Ritual

Cosa c'è di meglio di comprare un disco? Comprarne due. Oggi, però, anche se ero partito con l'idea di prendere i nuovi album di White Lies e Social Distortion, mi sono dovuto accontentare solo del primo. Perché l'altro era finito. E siccome certe cose preferisco prenderle dal mio negozio di fiducia (in realtà ne ho due: Taxi Driver e Disco Club, qui si trattava di Disco Club) aspetterò lunedì e non cederò alla tentazione di andare da Fnac. Tra le altre cose era un po' che non mi capitava di comprare un cd a prezzo pieno: cazzo 17 euro. Ma purtroppo è così con le novità. Ormai, da diverso tempo, i dischi appena usciti che compro ogni anno saranno giusto una decina. E anche lì, fra case discografiche indipendenti, album presi ai concerti e (pochi) lanci promozionali, finisce sempre che ci lascio al massimo 15 carte ciascuno. Tutti gli altri che compro nel corso dell'anno, invece, - e sono tanti credetemi - li pago fra i 5 e i 10 euro, se va proprio male arrivo a 15. Ma in quel caso devono essere delle perle. Perché prendendo solo album vecchi, roba da necrofili, di band già sciolte o morte e sepolte, capita sempre lo special price o l'offertona. Da Disco Club, poi, riesco già a capire, ogni volta che ordino qualcosa, quanto lo dovrò pagare e se esiste un ribasso per il tale album che mi interessa. Una cosa che dalle altre parti non posso certo fare. Insomma: provate voi a comprare una paio di dischi alla settimana, quindi un centinaio all'anno (facciamo 120 che poi ci sono le fiere, i concerti, le occasioni particolari nei negozi dell'usato) pagandoli 20 sacchi ciascuno. Sarei già sul lastrico. Più di quanto non sono ora, per capirci. Ed è proprio per questo che devo far convivere la mia ricerca onnivora di musica con un po' di morigeratezza, se non sulla mole di dischi, almeno sul prezzo. E' uno sporco lavoro, lo so, ma qualcuno dovrà pur farlo. E quindi: sì, sono il classico stronzo che aspetta anche delle settimane, se non addirittura dei mesi, nella speranza che il tale disco scenda di prezzo (tanto poi succede sempre). Magari nel frattempo compro qualcos'altro. E mi consolo. E se proprio non resisto mi concedo qualche strappo alla regola. Tutto questo per dire cosa? Non lo so. Comunque il nuovo dei White Lies, che per la cronaca si chiama "Ritual" non è niente male. Ma il primo, come al solito, era più immediato e più bello. 

lunedì 17 gennaio 2011

How can they sleep at night?

Sto guardando l'Infedele. E forse non dovrei neppure farlo. Perché dopo una giornata di lavoro sarebbe meglio stordirsi con un buon disco o leggersi un libro, per fa riposare il fegato. Invece capita di farsi del sangue marcio accendendo semplicemente la televisione. Insomma: al di là di Ruby, Berlusconi e tutto il resto lo scandalo più grave, a mio parere, è quanto accaduto in questi giorni alla Fiat. Ed è proprio di questo che parla il programma di Gad Lerner questa sera. Non mi interessa fare della sociologia e o dell'economia d'accatto, solo ricordare un semplice principio: il lavoro non può essere il frutto di un ricatto e non è possibile che per la prima volta nella storia i figli stiano peggio dei loro padri. Che ne sarà di noi? Come si permette un ometto che guadagna 4 milioni di euro all'anno di chiedere a chi ne guadagna 1000 al mese di fare sacrifici, altrimenti brinderà a centinaia di licenziamenti a Detroit? Come fa uno che ha usufruito per decenni degli incentivi statali pagati con i nostri soldi, a trattare in questo modo i cittadini di una nazione a cui la Fiat deve tantissimo? Avete mai sentito quella canzone dei NOFX in cui Fat Mike urla alla fine: How can they sleep at night? Me lo chiedo anch'io

domenica 16 gennaio 2011

First rule is

Seguendo l'esempio di Claudione anche io riparto col blog (che il realtà era già ripartito). E anche io dopo splinder approdo a blogspot, semplicemente perché splinder - porco cazzo - non riesco proprio a usarlo, da quando ha cambiato impostazioni. Vista la nuova veste grafica, il nuovo gestore ecc ho dovuto anche cambiare il titolo del blog (anche se quello di prima mi piaceva di più). E così dopo husker  ho deciso comunque di rimanere in zona: Hello Bastards, per chi non lo sapesse (almeno vergognatevi un po') è il titolo di uno dei dischi più belli degli anni Novanta, il capolavoro dei Lifetime in cui coverizzano persino gli Husker Du. Vabbé, bando alle ciance, da qui passeranno i miei pensieri, i miei insindacabili giudizi, le mie stronzate assortite e le miei invettive più bieghe su temi come la musica, la politica, la letteratura e il cazzo che mi pare. Intanto beccatevi la mia classifica dei dieci dischi migliori del 2010, che non sono riuscito a pubblicare su splinder proprio per la mia inettitudine telematica.
Ps Ah, ricordatevi che vi amo tutti

De flora et fauna (The Record's)
C'est la vie (Radio days)
Bad JuJu (The Manges)
Sono all'osso (Pan del diavolo)
King of the beach (Wavves)
Ritornano quelli... di Calibro 35 (Calibro 35)
Black Hole - Carlifornian punk 1977-80 (AA/VV)
Per ora noi la chiameremo felicità (Le luci della centrale elettrica)
Primitivi del dub (Tre allegri ragazzi morti)
Cattive abitudini (Massimo volume)