domenica 20 gennaio 2019

Un po' di recensioni a babbo 10/ Ex punk, ora venduto

Dopo l'abbuffata natalizia, torno a fracassare i maroni con tre recensioni fresche fresche e assolutamente non punk. Mi sto evolvendo? Sto cambiando gusti? Sto diventando grande (adesso non mi va)? No, resto sempre la solita testa di minchia.

La Furnasetta - La prima stella
La Asbestos ci ha preso gusto e, ancora una volta, dopo la speciale raccoltona con cui ha festeggiato le sue prima 50 produzioni, decide di uscire dai ristretti meandri del digitale pubblicando un altro cd in formato fisico. "La prima stella", che raccoglie praticamente tutta la discografia de La Furnasetta - collettivo avant noise sperimentale di Casale Monferrato - è un disco acido e dai toni solenni: la perfetta colonna sonora di un film horror distopico, ambientato nei boschi piemontesi. L'apertura di "She is already dead" è metallica e "quasi rock" per gli standard della band, mentre "Menace ruin" è un brano inquietante e crepuscolare. Con la doppietta "Scareri" (scandita dalla voce di Carmelo Bene) e "The last call", si precipita direttamente in un incubo di suoni lontani e voci da brivido. I tempi delle canzoni si dilatano e non lasciano scampo: quasi tutte hanno una lentezza angosciante, che ti penetra nelle ossa e rimbalza vertebra dopo vertebra. In "Forza neri (in Siria)" sembra di sentire l'eco delle bombe che esplodono, mentre una chitarra sintetica stride a intermittenza; "Shiva built my hotrod", invece, inizia come un delizioso tentativo - fallito - di scrivere un brano rock'n'roll, per poi perdersi in mille manipolazioni. "Agro Callori's Womb" è un canto gregoriano su ritmi techno minimal a cui segue "Bizarra": una marcia di elettronica liquida e scarnificata. Il disco si conclude con "Digital skinhead", una brano che sembra una rivisitazione delle storiche library music, ideale per descrivere il monotono lavoro di fabbrica. Insomma un disco eterogeneo e decisamente poco rassicurante, una raccolta di musica estrema, dannatamente seducente. Anche la confezione è curata nei minimi particolari: cartoncino rosso, con lucido colorato in copertina, spilla e adesivo della Asbestos in omaggio. Un disco prezioso, da conservare.

Marshmallow Overcoat - Songs from the motion picture All you need is fuzz
Dopo averci viziato per anni con ristampe di storici gruppi neo psichedelici italiani degli anni Ottanta, Area Pirata, questa volta, vola oltreoceano e ci regala un vero e proprio gioiello del garage-psych americano: i Marshmallow Overcoat di Timothy Gassen. "Songs from the motion picture All you need is fuzz" è la summa di 30 anni di onorata carriera, ma anche la colonna sonora del documentario realizzato dallo stesso Gassen e dal titolo "All you need is fuzz: 30 years in a garage band". Venticinque brani fra garage, paisley, psichdelia, pop e punk, per un caleidoscopio di suoni caldissimi e vertiginosi, che hanno il sapore del deserto e il colore dei cieli lisergici e fiammeggianti dell'Arizona. "Wait for her" (uno dei tre pezzi nuovi del disco), "The Beyond", "Half a life" e "1000 years ago", sono solo alcune delle punte di diamante di un album oggettivamente bellissimo. Il segreto è, senza dubbio, la capacità, quasi naturale, di Gassen e soci di scrivere brani melodici e dagli arrangiamenti sontuosi, senza per questo risultare artefatti. La materia prima dei Marshmallow Overcoat resta pur sempre il caro vecchio rock'n'roll, anche se immerso in atmosfere anni Sessanta. Quindi recuperate al più presto questo portento di album e convertitevi al verbo del fuzz.

Moscow - Moscow ep
I Moscow sono una band noise-hc di Piacenza e questo ep è il loro esordio assoluto. Qualche mese fa (mi scuso ancora per il colpevole ritardo) Alessio, uno dei ragazzi del gruppo, mi ha scritto girandomi il link di Soundcloud  e anche se, di solito, preferisco recensire i dischi stringendo fra le mani le care vecchie copie fisiche mi sono incuriosito e ho deciso di mettermi all'ascolto. I primi due pezzi dell'ep, "Skill road" e "Anschulss", sono una classica randellata di rumore metallico in piena faccia sullo stile dei Big Black, due brani lunghi (come tutte le quattro canzoni dell'ep) che lasciano poco spazio ai sofismi e alle menate da finto critico musicale. Con "Branched" e "Rosmery's lounge", gli ultimi due titoli in scaletta, invece, le coordinante cambiano leggermente: la voce diventa più velenosa e potente e il sound ricorda alcuni gruppi grunge "meno allineati" come i Tad. Insomma un disco che ha una certa varietà, nonostante il numero esiguo di brani (parliamo pur sempre di un ep) e alcuni riferimenti abbastanza palesi. Sarà interessante capire che strada prenderà il sound dei Moscow nei prossimi lavori.