giovedì 17 settembre 2020

Un po' di recensioni a babbo/19 Liguria la punk e altre delicatezze dal resto d'Italia

Rieccomi con un po' di belle novità. Due delle quali tutte liguri. Per il momento non ho altro da dire, vostro onore.


Manges - Punk Rock Addio

"Punk Rock Addio", il nuovo disco dei Manges esce tra una decina di giorni, ma grazie ai miei potentissimi mezzi (scherzo) sono riuscito a sentire in anteprima gli mp3. L'album, è bene dirlo subito, è strepitoso: non ha un pezzo fuori posto e suona alla perfezione (grazie anche all'impeccabile produzione di Lorenzo Moretti e Danilo Silvestri dei Giuda). Chi temeva, magari suggestionato dal titolo, che la band spezzina mollasse il vecchio punk rock per battere nuovi territori musicali stia tranquillo: a parte qualche timida divagazione (che tra l'altro corrisponde ad alcuni dei pezzi migliori in scaletta), "Punk Rock Addio" non è così diverso dai precedenti lavori dei Manges. E secondo me è un'ottima notizia. Siamo sinceri: credo che siano pochissimi i fan della band in attesa di una qualche svolta musicale. Tutti, me compreso, non vedono l'ora di ascoltare la solita splendida broda a base di tre accordi veloci e melodie a presa rapida. E "Punk Rock Addio" va proprio in questa direzione: 12 pezzi spesso sotto i due minuti, che suonano come un martello pneumatico ricoperto di zucchero, pronto a traforarvi le orecchie. La voce di Andrea - secondo me il vero marchio di fabbrica della band - è come al solito perfetta. A chi continua a menarla con la storia dei cloni dei Ramones (e vabbè, grazie al cazzo!), rispondo subito che i Manges, in 27 anni di onorata carriera, sono riusciti a sviluppare uno stile talmente personale e riconoscibile, che il paragone con i 4 finti fratellini newyorkesi regge fino a un certo punto. Forse, diversamente dal passato, "Punk Rock Addio" è un po' più tirato e meno pop del solito e le melodie migliori sono riservate ai pezzi meno in linea con la classica formula punk-rock. Detto questo, dopo oltre dieci ascolti filati, non mi sono ancora stancato di schiacciare il tasto play. Ma vediamo come sono queste canzoni e partiamo proprio da quelle non allineate. "Paninaro", per esempio, con i suoi sintetizzatori bubblegum è davvero un brano irresistibile. Sembra un pezzo degli Epoxies in versione Lookout Records: pagherei oro per un disco tutto così. L'altro pezzo 'insolito' è "Tootsie Rolls" un plagio autorizzato (vista la presenza di Lorenzo e Danilo in regia) dei Giuda, ma anche la dimostrazione che se i Manges volessero mettersi a fare glam non sfigurerebbero affatto. "Take it on the Chin", uno dei brani più melodici del disco, è una cover di William Elliott Whitmore, cantante country statunitense, mentre "Off my tree" è un pezzo scritto da CJ Ramone e ragalato alla band: una canzone carina, ma non irresistibile. Il resto, come detto, è una mitragliata di classico punk rock suonato a manetta, senza un attimo di respiro. Dal trittico iniziale "Next to zero", "Vietnam addio" e "Endless detention" - stile primi Ramones (anche se avevo detto che non avrei fatto paragoni) - a "Ice capades", un surf punk robotico, da mare blu metallizzato. E poi ancora il pop-punk trascinante di "Chinese dragons", le bastonate a suon di riff di "Viper room", "North Korea", con una strofa melodica deliziosa che mi ricorda "Vengeance is mine" (uno dei mie prezzi preferiti dei Manges) e il rock'n'roll di "L.E.N.D.O.R.M.I.N.", che ricorda (non solo nel titolo) "R.A.M.O.N.E.S." (aridaje). Come ho già detto: un disco davvero splendido: semplice e diretto, come quasi nessuno sembra più essere in grado di fare. Eppure la prima volta che ho ascoltato "Punk Rock Addio" erano davvero pochi i pezzi che mi avevano colpito. Ora che le mie orecchie lo hanno macinato almeno una decina di volte, però, ne vado letteralmente pazzo. Mi ci sono voluti almeno tre ascolti per iniziare ad amarlo. Ma forse è perché ormia, anche chi ascolta punk-rock a palate è meno abituato a una certa immediatezza. E così, quando ci si ripresenta davanti restiamo tutti un po' interdetti. Detto questo, "Punk Rock Addio" è uno dei dieci dischi più belli usciti quest'anno. Lo dico senza timore di smentita e nonostante manchino tre mesi e mezzo al 31 dicembre. Non so se sarà davvero l'epitaffio dei Manges. Se così fosse credo che i ragazzi non avrebbero potuto scegliere un album migliore. Siamo ai vertici della loro discografia.

 

Cocks - Arena

Conosco i Cocks da quando facevano ancora il liceo e venivano ai concerti punk-rock al TDN. Erano dei ragazzini, ma si capiva subito che avevano l'attitudine giusta. Oggi che sono degli uomini e girano l'Italia e l'Europa con la loro band credo siano arrivati a un punto di svolta importante. "Arena", il nuovo ep targato Flamingo Records, è forse il loro disco migliore in assoluto. E sancisce la definitiva maturazione di un gruppo che, dopo essere nato tra i banchi di scuola e aver pagato dazio alle classiche influenze musicali di chi ha iniziato ad ascoltare punk-rock una dozzina di anni fa, oggi può contare su un suono solido e assolutamente personale. La differenza che salta subito alle orecchie rispetto al passato è la voce di Antonio, che in queste cinque tracce è decisamente meno impostata e più naturale. Anche la struttura dei pezzi è più libera e meno legata a certi cliché del punk-rock di nuova generazione. Spesso, quando sento parlare dei Cocks l'etichetta che viene utilizzata più frequentemente per definire la loro musica è pop-punk. Sinceramente ho sempre preferito parlare di hc melodico, perché è da lì, secondo me, che bisognerebbe partire per provare a capire dove collare questa band. Poi certo, per chi suona sentir parlare di certe etichette è una gran rottura di scatole da giornalistucoli o critici da quattro soldi. Ma a me hanno sempre aiutato a capire, in anticipo, l'essenza stessa di un gruppo. Passando invece alle canzoni di questo ep credo che i Cocks abbiamo sviluppato una certa compattezza di fondo, mescolando a dovere melodia, malinconia e velocità. Come conferma anche l'artwork – disseminato di una serie di vecchie foto e cartoline color seppia del quartiere genovese di Sampierdarena, dove la band è nata - lo spirito del disco è molto nostalgico. Lo si percepisce immediatamente in "The secret" e in "Alpha", i due pezzi di apertura, pieni di melodie liquide e corali. "Full speed haed" è forse il brano più 'duro' del disco, anche se restiamo sempre nei territori del pop-core. "Day by day", invece, è una classica ballata punk-hc, di quelle che partono piano, ma che sanno toccare le corde del cuore senza perdere intensità. Chiude l'ep "Boomers alert", che oltre al titolo divertente, è una altro pezzo malinconico e dilatato, perfetto per concludere un disco: una sorta di psichedelia hardcore. Un ringraziamento speciale va senza dubbio a Emi e Alberto di Flamingo Records che, ancora una volta, non solo danno alle stampe un ottimo album, ma dimostrano di essere un punto di riferimento fondamentale per la scena genovese e il suo sviluppo. Credo che senza la loro passione e il loro entusiasmo questa città sarebbe molto meno ricca di band e dischi. Da quando hanno aperto il loro negozio in piazza delle Vigne sono cresciuti tantissimo e hanno dato un contributo essenziale alla crescita dei gruppi di casa nostra. Grazie, ragazzi! 

 

Ghiblis - Domino

E' passato un anno dal singolo dei Ghiblis, che ho recensito su questo blog scalcinato. E oggi la band piacentina torna a farsi sentire con un album di 11 pezzi, targato ancora una volta Area Pirata e intitolato "Domino". Gli ingredienti sono sempre gli stessi: surf strumentale, mescolato a un retrogusto esotico ed etnico. Una sorta di world-surf, se mi passate il termine, con il sax in primo piano e l'amore per le colonne sonore anni Sessanta e Settanta a fare da sfondo. Certo, la matrice surf è quella predominante, ma sono i dettagli a rendere questo disco molto diverso dal classico album per coloro che amano cavalcare le onde su una tavola di legno. L'atmosfera è quella della balera da ultima spiaggia, un mix di vecchi smoking sgualciti e di cocktail party a base di droghe psichedeliche e pieni di brutti ceffi. I brani sembrano un inno alla decadenza malinconica, un soffio di aria viziata a increspare il mare inquinato. Un esempio di quest'inquietudine di fondo è la title-track, "Domino", con quelle voci soffuse che ogni tanto si fanno largo tra le chitarre poliziesche e ripetitive. Più classicamente surf "La nana", "The dachschund walk", “Oki Doki” e “Gonzo twist”, ma se questo genere musicale ha quasi sempre sprigionato una vitalità quasi rilassata e pacifica, nella versione dei Ghiblis assume un tono più nero e perturbante. Il lato dark della musica da spiaggia. 

 

 Dayglo Demons - Dayglo Demons

Una lunga suite di quasi un'ora dentro la quale si intersecano punk, noise, avanguardia, surf, jazz, raggae, rap, elettronica minimale e sperimentazioni varie. Non è facile inquadrare un disco selvaggio e totalmente fuori schema come quello di Dayglo Demons: un album lungo 28 pezzi, totalmente autoprodotto e distribuito da Area Pirata. Le poche cose che so dell'autore - Dario Troso aka Gopher, storico esponente dell'underground italiano e in particolar modo della scena punk-hc anni Ottanta e rap anni Novanta (ha partecipato ad alcune esperienze leggendarie come l'Isola Posse) - non aiutano molto a capire. Ma in questi casi l'unico modo per approcciarsi a un disco così intricato e al tempo stesso affascinante è infilarlo nello stereo e acoltarlo. Almeno due o tre volte di fila. E così ho fatto. Anche se non è un'esperienza agevole. Proprio per questo “Dayglo Demons” è un disco punk nel più crudo e viscerale senso del termine. Un ammasso di suoni sporchi e registrati in bassa definizione, una miscela di influenze e passioni diverse, che però sembrano nascondere un unico filo conduttore: la ferocia. Episodi più classicamente rock (o punk) come "Grave diggin'", "Invisible sun" e "Paperback writer" si alternano a suoni di tamburi, trombe free, divagazioni etnico-elettroniche e spippolamenti vari. Il disco sembra una versione più accessibile e variegata (diciamo più rock) di Bologna Violenta. Anche se la rabbia di fondo mi pare la stessa. Ci sono chitarre che sfrigolano come zanzare contro un lampione acceso, batterie elettroniche sparate a mille all'ora e una voce ruvida, perfetta per l'hardcore, ma anche per il raggae ("Wrong direction") e per il rap-core ("Quiet maze"). Tutti i brani sono piccoli frammenti sonici, messi uno in fila all'altro per disorientare l'ascoltatore. In poche parole una macedonia di frutta fresca e verdura marcia, che i meno corazzati di voi impiegheranno pochissimo a odiare. 

 

The Smoking Bones - Down to the high

Un pezzo originale e una cover di Elvis. Pronti via. Scivola rapido, ma lascia comunque il segno "Down to the high", il singolo degli Smoking Bones pubblicato da Area Pirata. Gli ingredienti principali sono il rock roccioso anni Settanta e buona vena melodica. Gli Smoking Bones hanno un suono pieno, costruito su ottimi ritornelli a base di cori poderosi (la title track). Ma sanno anche reinterpretare a modo loro e senza timore reverenziale un classico del Re come "Burning love", trasformandolo in un trascinante pezzo power-pop tutto da ballare. Un singolo appetitoso per chi ama il rock, senza tante declinazioni.

 

Maximilian D - Maximilian D

Voce impastata da alcol e sigarette, cappellaccio da gringo e stivali di pelle ai piedi. Me lo immagino così Maximilian D - e cioè Massimiliano Muoio degli storici Nia Punx - mentre registra questi 11 pezzi in bilico fra country, musica rurale, blues minimale, atmosfere mariachi e rock scarnificato. Roba da cowboy con i pantaloni strappati e la spilla dei Gun Club attaccata sul chiodo sdrucito. Un tex-mex insaporito alla nduja, con la voce cavernosa di Massimiliano che mastica le corde della chitarra e del banjo in un assolato pomeriggio di agosto. Questo album, pubblicato da Mania Records e uscito lo scorso anno, è carico di echi e riverberi, melodie inquiete e solenni e lunghe cavalcate soniche. Un disco molto americano, non solo nei suoni, forte di una grande compattezza di fondo. E' come se Maximilian D avesse voluto esplorare il lato più dark e goth della musica country, mescolando vampiri e vecchi fuorilegge a cavallo. Non è facile scegliere un pezzo più rappresentativo,vista la coesione dei brani. Personalmente mi piacciono molto "Rattlesnakes", la ballata "Memories of your future past", con quella sua chitarra deliziosa e carica di malinconia e "Blues is my heart", un vero gioiello che risplende lungo la linea dell'orizzonte. Insomma, come avrete capito si tratta di un disco molto intenso e da scoprire ascolto dopo ascolto. A tratti mi ricorda i genovesi Sleeves. Anzi, credo proprio che questo album possa piacere parecchio ai fratelli Cheldi e ai loro fan.