lunedì 16 aprile 2012

Questione di Sleeves

Ci voleva una di quelle giornate storte e nate sbagliate per avere la botta di culo che ho avuto stamattina. Sì perché quando ti alzi prima del solito e perdi un'ora a cercare le chiavi di casa, i tuoi capi ti mandano a una conferenza stampa a cui non dovevi neppure andare e appena provi a prendere il bigliettino delle poste per pagare una bolletta scaduta da 5 cinque giorni ti accorgi di avere 150 persone davanti perché c'è stato il blocco totale dei terminali degli uffici di tutta Italia, trovare un disco, anzi il disco, che cercavi da mesi, è molto più che un risarcimento. E' la dimostrazione che forse qualcosa lassù si muove. E che magari anche il dio dei dischi, nella sua infinita cattiveria e crudeltà, qualche volta può avere un po' di compassione per noi mortali. Già perché questa mattina da Disco Club, quello dell'usato incastrato nel vicoletto a due passi dalla banca equa, ho trovato finalmente (anche se era lì da un po' di tempo) "Five days to hell" degli Sleeves. Un bel pezzo di vinile datato 1987: il primo album sulla lunga distanza di una delle band genovesi più bollenti e americane di sempre. Gli Sleeves di Marco e Carlo Cheldi hanno scritto, seppur per pochi anni, una delle storie più nobili del rock'n'roll di questa vecchia e sonnacchiosa città. I nostri, d'altra parte, arrivavano direttamente dalla prima scena punk genovese, grazie al loro passato nei mitici Establishment. Roba folle e iconoclasta che mescolava Sex Pistols e Dead Kennedys (o almeno così racconta chi c'era). Gli Slieeves, invece, col punk avevano, o forse dovrei dire hanno - perché recentemente si sono riformati - una parentela piuttosto alla lontana. Sono decisamente più figli del deserto e del  rock'n'roll. Tipo i Dream Syndacate e gli X tanto per capirci. Come se un serpente viscido e polveroso - magari quello stampato sul retro della copertina per il logo della Cobra Records - avesse inghiottito una chitarra elettrica e ne venisse posseduto. Per la storia completa della band comunque vi rimando all'ottima intervista con tanto di  biografia realizzata da Andrea Valentini sul suo "Black milk (a temporary fix of)". Io intanto, anche se è l'una e mezza di notte passata, mi godo i solchi di questo piccolo gioiello di furia e melodia.