martedì 13 ottobre 2015

Ruin myself with Spotify

Anche io mi sono iscritto a Spotify. E per me è una sconfitta, sia chiaro. Ma tanto, una più una meno, cosa volete che cambi? Almeno adesso potrò ascoltare tutti quei dischi che, per ora, mi posso soltanto immaginare (a meno che non arrivino in edizione economica, ma la vedo dura). Certo, non è che la musica da sentire in casa mi manchi o che abbia smesso totalmente di comprare dischi: quello non potrei mai farlo, visto che per me resta una delle poche gioie materiali di questa vitaccia. Però, belin, dovendo rallentare un po' quella che un tempo era una pratica come minimo bisettimanale, l'unico modo per ascoltare un po' di novità senza doverci lasciare ogni volta un rene, resta, purtroppo, Spotify. E così con due click e una password eccomi qui, finalmente, sul divano a godermi "Electric blood" dei Biters (che non è niente male he, ma forse 18 sacchi non li vale, soprattutto in questo momento). Poi magari mi risentirò in modo più cristiano anche "V" di Wavves, che pure quello costa sui 17-18 euro e insomma.., Detto questo ho visto, però, con mio sommo sgomento, che i Third World War sono troppo sfigati per essere inclusi qui dentro. E quindi nada, nisba, non si trova neppure mezzo pezzo. E vabbè, non è che si possa aver sempre tutto. Certe cose toccherà cercarle in modi alternativi. Comunque, se devo essere sincero, un po' mi sento in colpa a scroccare tutti (?) questi album. Ma alla fine se Internet ha fottuto il lavoro a un sacco di gente, qualcosa ci dovrà pur restituire. Naturalmente fottendo a nostra volta qualcun altro. Quello che mi rode di più però, ma devo ancora guardare e quindi potrei essere presto smentito, è che penso sarà difficile che su Spotify si riesca a trovare qualcosa di appena appena più "ricercato" del solito (per quanto ricercata possa essere la merda che ascolto). Però anche in questo caso bisogna accontentarsi. Tra l'altro, finora, non ho ancora beccato inserti pubblicitari, che mi hanno detto essere particolarmente rompiscatole ma necessari per abbonarsi aggratis sul pc. Ah no cazzo eccoli qui... Minchia: il Cornetto Algida... però dura poco dai... Ok, il disco sta per finire, vado in frigo a prendere una lattina di birra da due soldi e mi metto comodo. La lista degli ascolti è lunga. E io sono un novizio e non capisco ancora nulla di playlist e altre amenità.

mercoledì 7 ottobre 2015

Rikk Agnew, "All by myself"

Dio benedica le ristampe in cd degli lp Frontier degli Anni Ottanta. Perché è solo grazie a una di quelle che ho scoperto uno dei dischi più belli e malcagati di quell'epoca: "All by myself" di Rikk Agnew. Un album spettacolare uscito nel 1982, scritto, suonato e cantato interamente dal buon Rikk dopo aver lasciato gli Adolecents. Il disco, infatti, si trova in coda al cd che raccoglie sia il primo stupendo lp della band di Tony Cadena, Steve Soto, Casey Roger e dei due fratelli Agnew, Frank e Rikk sia l'ep, sempre, degli Adolscents, "Welcome to reality". E anche se questi due album resteranno scolpiti per sempre nella storia del punk californiano, c'è da dire che "All by myself", col senno di poi, resta un disco di una bellezza disarmante. La prima volta che l'ho ascoltato, a dire la verità, non mi aveva colpito più tanto (ma coi grandi amori, si sa, è sempre così). Avrò avuto sì e no 17 anni e, dopo una delle tante spedizioni da Distorsioni a Varazze -  il compianto negozio del mio amico Luca - ero così eccitato dall'essere riuscito a mettere le mani sul primo disco degli Adolescents, che l'album di Rikk mi era scivolato un po' addosso (beata stupidità adolescenziale, tanto per restare in tema). Il problema è che forse lo avevo ascoltato un po' di corsa, giusto perché era in coda al cd. Ma poi avevo rimesso a manetta, per giorni interi, "I hate children", "Amoeba", "Kids of the black hole", "No way" e tutto il resto del campionario. Quello che mi colpiva di più di Rikk, in realtà, era la sua immagine, grazie alla foto sul retro del libretto del disco. Aveva una faccia da matto, con gli occhi spiritati, e stringeva una medaglietta di metallo tra le labbra. Nel quadratino sullo sfondo blu del cd, poi, si notava una maglietta bianca dei Tsol, che faceva da contrasto al muro di mattoni alle sue spalle. Poco dopo aver scattato quella foto e aver inciso un solo disco - ma che disco! - si era stufato degli Adolscents e li aveva mollati. Leggendo qua e là, nel corso degli anni, ho scoperto poi che Rikk ha suonato più o meno in tutti i gruppi punk di Orange County tra la fine degli Anni Settanta e i primi Anni Ottanta, incidendo alcuni album incredibili e lasciando quasi sempre all'apice. Era stato nei Christian Death di "Only theatre of pain" - che non ho mai amato moltissimo, a dire la verità - nei Social Distortion, nei grandissimi D.I. e in una miriade di band minori. Poi si era imbottito di droghe e se l'era vista brutta per parecchio tempo. Nonostante tutti i suoi casini, però, non aveva - anzi, non ha - mai smesso di suonare e qualche anni più tardi, quando dopo l'unico 30 e lode della mia vita mi sono comprato il dvd con la reunion degli Adolscents, me lo sono ritrovato davanti parecchio cambiato. Rikk, che detto fra noi da giovane era un gran figo (il classico delinquente di estrazione borghese, che arriva dalla periferia americana) era diventato un ciccione incredibile. Sembrava (o forse era) strafatto come una cucuzza e, nel dvd, si agitava come un pazzo, scivolando da una parte all'altra del palco. I tatuaggi sulle braccia erano ormai deformati, aveva dei piedi enormi (suonava scalzo...) e delle strane macchie sulla faccia, che non lo facevano sembrare l'esatto ritratto della salute. Insomma si portava addosso una vita di eccessi, come dicono quelli seri, e forse anche per quello, sotto sotto, mi stava ancora più simpatico. Così mi sono un po' informato su di lui e ho cominciato a tenerlo d'occhio. Ho iniziato a riascoltare con più attenzione "All by myself" e mi sono reso finalmente conto di cosa mi fossi perso in tutti quegli anni. Anche perché non so proprio come abbia fatto a restare indifferente di fronte a un inizio da capogiro come l'uno-due di "O.C. life" e "10". E poi "Everyday", "Surfside" e quel finale assurdo di "Section 8": un pezzo di oltre 7 minuti tra urla, chitarre punk e accenni quasi hip hop. "All by myself" è decisamente un album da riscoprire, un concentrato di surf per zombie metropolitani, dark da spiaggia e new-waver coi sandali. Nel disco la voce di Rikk è piena e cattiva, mentre le chitarre sono malinconiche e corrono veloci su melodie agrodolci; i cori sono perfetti e il disco emana una sensazione di allegra tristezza, servita su una tovaglia da pic-nic nucleare. Tornando a Rikk, invece, sembra che il nostro, ultimamente, se la stia passando meglio di qualche tempo fa. Ho letto una sua intervista su un magazine online di cui non ricordo il nome nella quale parla della sua "rinascita", dopo che un medico gli aveva detto una roba tipo: "ok, ancora un eccesso e sei morto". Così Rikk si è cagato sotto, è dimagrito un sacco (tanto da essere irriconoscibile, rispetto a quel dvd), ha messo su una band a suo nome e ha persino pubblicato uno split che devo ancora sentire (come un altro paio di suoi lavori solisti che ancora mi mancano). La mia speranza è sempre quella che, un giorno, venga a suonare in Italia - cosa che tra l'altro ha già fatto, senza però che io sapessi nulla come al solito - e aspetto con una certa ansia che pubblichi un disco vero e proprio tutto suo. Rikk Agnew - a proposito, voi come lo pronunciate sto minchia di cognome? - è diventato uno dei miei eroi del punk insieme a Grant Hart (con cui secondo me ha tantissimo in comune, sia a livello musicale sia a sul fronte personale), Lance Hahn, e altri "sfigati" di lusso che hanno scritto pagine di musica memorabile.