mercoledì 11 luglio 2018

Un po' di recensioni a babbo/7 Area Pirata mon amour

E' di nuovo Area Pirata-time: l'etichetta toscana ha sfornato, nel giro di un mese e mezzo, cinque dischi fantastici (3 album, un 45 giri e un mini cd, per la precisione). E grazie a un succoso pacco che mi è stato recapitato qualche giorno fa nella cassetta delle lettere me li sono sparati tutti, uno dopo l'altro. Tiziano e Jacopo stanno facendo un lavoro davvero incredibile con questa piccola ma indomita label. Ogni nuova uscita riesce a centrare in pieno il bersaglio. La qualità del materiale è sempre altissima e in mezzo a questi cinque titoli ce n'è persino uno che ritroverete sicuramente a fine anno nella classifica dei dieci migliori dischi del 2018.

The Superslots Terrible Smashers - 4 dummies

Quattro pezzi di rock'n'roll abrasivo sparato a mille: non servirebbe altro per descrivere "4 dummies", il nuovo singolo spacca ossa dei Superslots Terrible Smashers pubblicato da Area Pirata e Tongue Records. Quattro mine roventi al punto giusto che vi menderanno in pappa il cervello manco fossimo nel 1991. Già perché la band di Salerno, oltre a guardare al classico garage punk psichdelico di 50 anni fa, sembra uscita direttamente da quella fucina incandescente che era il gunk punk, e cioè quel breve ma intensissimo periodo tra la fine degli anni ottanta e i primissimi novanta in cui hanno trovato terreno fertile gruppi immensi come New Bomb Turks, Gaunt, Oblivians e Gories . Ecco i Superslots Terrible Smashars suonano esattamente come quelle band. L'Ohio d'Italia è sul mar Tirreno.


The Bradipos IV - Lost Waves

I Bradipos IV sono una vera e propria istituzione. E con questo nuovo album targato Area Pirata e intitolato "Lost Waves" dimostrano di essere, ancora una volta, dopo oltre 25 anni di dischi e concerti, i re indiscussi della musica surf europea. Se siete alla ricerca sfrenata di suoni innovativi e o moderni, forse, è meglio che vi teniate alla larga da questo pezzetto di vinile, perché la formula utilizzata dai nostri è quanto di più "alla vecchia" vi potrebbe capitare di ascoltare in questi giorni di calura estiva. Oltre ad aver studiato con cura la lezione di Dick Dale e dei Pyramids, tanto per fare due nomi classici che potrebbe citare anche un bambino, la band di Caserta dimostra anche una certa passione per i gruppi più oscuri del surf (i Phantom Surfers sono abbastanza underground o dico cazzate come al solito?) con imprevedibili sferzate garage - e anche una certa vena dark - che irrobustiscono le trame sonore delle canzoni. Chitarre scintillanti e liquide, riff ossessivi e taglienti: ogni pezzo è un'escursione in bermuda e camicia a fiori alla ricerca delle melodia perfetta. Fra i brani più belli di quest'album solido e da ascoltare tutto d'un fiato spiccano la magnetica "Hangover Serenade" e "A heartful of nothing", che grazie alle sue schitarrate concentriche e il suo andamento indolente, vorresti durasse per ore, come un viaggio mistico a due passi dalla riva.


Lupe Vélez - Wierd Tales

A meno che Grant Hart e Joe Strummer non resuscitino al volo e sfornino 5 album degli Husker Du e 5 album dei Clash nelle prossime settimane "Wierd tales" dei Lupe Vélez arriverà dritto dritto fra i miei dieci dischi del cuore del 2018. E ve lo posso assicurare già oggi, a 5 mesi dalla fine dell'anno. Senza stare troppo a menarselo, infatti, questo cd pubblicato da Area Pirata è davvero una bomba pronta a esplodere nel vostro stereo (lo so, quando mi entusiasmo così tanto inizio a perdere la fantasia). Ma fate attenzione perché il sestetto di Livorno (e già che siano in sei è un fatto abbastanza insolito) non è una band facile da inquadrare. I pezzi, pur avendo una matrice comune (il suono dei gruppi underground americani degli anni ottanta e dei primissimi novanta) sono molto eterogenei. Tra un brano e l'altro si sentono echi di rock australiano ("Next mistake"), revival garage ("Wild girl"), ma non mancano neppure mitragliate soniche punk-hc sul solco di Hukser Du, Lemonheads e soprattutto di una band spettacolare ma purtroppo dimenticata come i Moving Targets ("Oblivion", "I'm in America", ma più in generale quasi tutta la seconda metà del disco). Immaginate insomma un ibrido impossibile fra Visitors, Radio Birdman e i già citati Huskers e Moving Targets: il tutto guidato dalla voce incredibile e perfetta, per il genere, di Stefano Ilari, vecchia conoscenza della musica "alternativa" italiana grazie alla sua militanza nei Mumblers e nella Stelle Maris Music Conspiracy. Anche i suoi altri partner in crime arrivano da una fitta serie di esperienze musicali, quasi tutte in ambito punk hardcore: Alex Gefferson (chitarra) degli Steven Sperguenzi and the Incredible Lysergic Ants, Gianfra (batteria) già attivo nei Biffers, band hc melodica di Livorno con pedigree internazionale, Donatella Doda Mariotti (basso), storica esponente del Granducato Hardcore prima nei Senza Sterzo e poi negli ultimi Not Moving, Luca Valdambrini (tastiere, ecco il tocco Radio Birdman) dei Pipelines e dei Surfer Joe & His Boss Combo e, infine, Iride Volpi (chitarra), direttamente dalla band di Dome La Muerte, i Diggers. Il gruppo è in giro da appena 4 anni, ma come avrete capito dalle mie lodi sperticate sa già il fatto suo. Per me possiamo anche finirla qui, altrimenti finisce che scappo, prendo il primo treno per Livorno e li vado ad abbracciare uno per uno.


The 16 Eyes - Look


Il garage che oggi va per la maggiore è una musica violenta e primitiva, con melodie taglienti suonate a tutta velocità. Ma se andiamo a recuperare le radici anni sessanta di questo "non genere" e cioè i gruppi americani che provavano nelle cantine o, appunto, nei garage di famiglia tentando - inutilmente - di copiare Beatles e Rolling Stones e le cui gesta sono state raccolte nell'imprescindibile raccolta Nuggets, allora le coordinate sonore risultano un po' diverse rispetto a quanto descritto poco fa. Quello che fra il '65 e il '69 veniva banalmente definito garage rock (e poi punk), infatti, non era altro che il tentativo, ingenuo e splendido, di una massa di ragazzini della media borghesia a stelle e strisce di uscire dalla mediocrità della loro vita di provincia attraverso il rock'n'roll. Una miscela carica di ritmo, intrisa di psichdelia e frutto dell'utilizzo sistematico di droghe (erba e acidi, soprattutto). Oggi, però, che la musica è cambiata e anche le droghe non sono più quelle di una volta, si fa sempre più  fatica a imbattersi in un impasto sonoro di quel genere. Così quando ho messo su "Look", il primo disco dei 16 Eyes appena uscito per Area Pirata, è stato come fare un tuffo nei miei vent'anni: il periodo in cui avevo scoperto, con qualche decennio di ritardo, i gruppi di Nuggets, andando letteralmente fuori di testa per la psichdelia e il garage-punk americano delle origini. D'altra parte questi quattro "giovanotti" - una sorta di super gruppo, visto che parliamo di veterani della scena come Orin Portnoy, Frank Labor, Steve Ostrov e Ward Reeder - vengono dell'Arizona, regione desertica piuttosto fertile per questo tipo di sonorità. "Look", le cui tracce sono state impresse in un sontuoso lp stampato in 300 copie, è un disco davvero irresistibile, che alterna pezzi di rock'n'roll vorticoso ("Know know", "Leaving here" e "Shot in the dark") a brani più lenti e dilatati, vicini a certo rock australiano anni settanta ("Stupid little girl" e l'ipnotica "'Float"). Anzi il bello di questo disco sono proprio le canzoni: 14 brani fiammeggianti, senza alcun riempitivo.

The Ghiblis - Surfinia

Dura appena un quarto d'ora e qualche spicciolo "Surfinia" dei The Ghiblis, gruppo strumentale di Piacenza, che esordisce su cd con questo succoso mini pubblicato da Area Pirata. Oltre ai classici riverberi surf, e cioè chitarre ipnotiche spalmate su ritmi ossessivi e marziali, i Ghiblis aggiungono alla loro speciale miscela anche un pizzico di pop tropicale. Il risultato sono 6 pezzi straordinari (su tutti la title track "Surfinia"), capaci di tracciare le coordinate di una psichdelia surf, da ascoltare ai bordi di una piscina costruita nella giungla. Se non vi fidate provate a sentire un brano spettacolare come "Lazy Odyssey", che sfoderando un ossimoro potremmo definire uno "standard inedito": i Ghiblis, in poche mosse e potendo contare su una tradizione ormai spolpata in lungo e in largo, riescono a risultare originali e innovativi. E scusate se è poco.