domenica 23 febbraio 2014

MAMMA DAMMI GLI SLEEVES

Ci sono serate magnifiche che iniziano malissimo. Perché diciamocelo chiaramente: cosa c'è di peggio di pianificare per giorni di andare a sentire i Giuda, una delle migliori band italiane degli ultimi dieci anni, e scoprire, qualche ora prima, di non poterlo fare? Il lavoro, i soldi le menate: verrebbe quasi voglia di imparare qualche nuova lingua straniera solo per trovare le bestemmie giuste da tirare in casi come questi. Ma ahimè la vita è molto spesso una merda e bisogna farsene una ragione. E così, verso le sei di pomeriggio, ho provato a mettermi il cuore in pace ed è a quel punto che mi sono ricordato di una cosa. Sia benedetto Facebook nonostante tutte le sue insidie: qualche giorno prima mi era arrivato un invito per andare a sentire gli Sleeves - dico gli Sleeves, cazzo - a Pegli, a due passi da casa mia, in un baretto del posto dove ogni tanto faccio colazione, perché è proprio a mezzo metro dal mare. Mi ero quasi dimenticato, cazzo, forse perché troppo drogato della possibilità di rivedere i Giuda, che in questo sabato ghiacciato di fine febbraio, c'era un concerto che non potevo assolutamente perdere. Anche perché, tra una palla e l'altra, non ero mai riuscito a vedere Marco Cheldi e la sua band dal vivo. Lo avevo conosciuto qualche anno fa quando stavo preparando il libro sui Dirty Actions, visto che lui è stato un personaggio fondamentale della prima scena punk genovese (e non solo) con i suoi Establishment. E poi, dopo che Andrea Valentini non faceva altro che parlare degli Sleeves, il suo gruppo di fine anni Ottanta, sono riuscito a trovare a un prezzo onesto il disco "Five day to hell", che è una fottuta bomba di rock'n'roll desertico (niente a che vedere con lo stoner) suonato e cantato come dio comanda. E così, per farla breve, complice una corsa dalla redazione al treno tipo quella di Fantozzi quando Filini gli assesta una martellata sul dito, sono riuscito ad arrivare al baretto in questione a un orario quasi decente, le dieci meno dieci. Loro stavano già suonando davanti ad alcuni famigliari e a un branco di bifolchi. Io mi sono sistemato in fondo, ho ordinato una media chiara e ho aspettato che Grazia mi raggiungesse. Vedere gli Sleeves dietro casa mia e in un locale dove di solito - quando va bene - suonano le cover band dei peggio gruppi di sempre (Guns, Pink Floyd e sti cazzi) mi ha fatto un effetto piuttosto strano. Anche perché il pubblico - in certi momenti scarso, in altri più folto - era davvero composto da tipi umani assurdi. Gente che si beveva la coca cola o il gin tonic di fronte alla storia della musica genovese e manco se ne accorgeva. Facce da impiegati post aperitivo con moglie al seguito, noccioline e milf pronte a ballare su ogni canzone: un mix perfetto da perdenti, mentre in sottofondo scorrevano canzoni di Lou Reed, Rem, Bob Dylan e naturalmente i pezzi originali degli Sleeves. Quasi tutti in inglese anche se, quelli in italiano, non mi dispiacciono per niente. Marco cantava benissimo, con quella voce chiara e profonda, ma mai cavernosa. Carlo, suo fratello, alla chitarra solista partiva per lunghi viaggi lisergici, mentre batterista e bassista (che purtroppo non conosco) tenevano botta alla grande. Tutto questo in pochi metri quadrati di placo, con la cameriera che chiudeva costantemente la porta che separava il dehor al chiuso dove suonava la band e il resto del bar dove alcune tavolate di ragazzini e cinquantenni sparavano cazzate e bevevano cocktail banali. Gli Sleeves - cazzo, gli Sleeves - sul palco se la ridevano e si divertivano come matti. Perché a loro importava solo una cosa: suonare. E lo facevano dannatamente bene. Marco poi è un personaggio davvero leggendario. Quando mi sono avvicinato a lui per portargli i saluti del Valentini e presentarmi (visto che non pensavo minimamente si ricordasse chi fossi) mi ha anticipato dicendo: "Ciao Diego, grazie di essere venuto". Un sorriso enorme e una stretta di mano vigorosa. E poi quell'incredibile modestia che salta fuori appena gli dici quanto stiano suonano bene e quanto sia bello "Five days to hell". Ma c'era ancora il tempo di un sorriso e poi bisognava riattaccare. Perché gli Sleeves, sabato, in un baretto alla periferia dell'impero, hanno suonato per due ore filate. Fermandosi solo cinque minuti e regalandoci pezzi bellissimi fra cui alcune cover azzeccate e rifatte con stile. Quando è scoccata la mezzanotte un cameriere gli ha fatto segno di smettere. Come se il rock'n'roll potesse fermarsi così, per una stupida questione di orari. Anche le milf si sono ribellate e hanno chiesto almeno un altro pezzo. E così Marco ha attaccato a suonare "Satisfaction" dei Rolling Stones e ce ne siamo andati tutti a dormire contenti.