sabato 11 maggio 2019

Un po' di recensioni a babbo12/La razione Area Pirata - Dieta garage-beat

È un periodo in cui mi trovo per le mani parecchi dischi interessanti. Tra acquisti, musica liquida ascoltata in streaming e qualche busta succosa infilata nella mia cassetta delle lettere il materiale da sentire (per fortuna) è davvero tanto. E praticamente tutto di alta qualità. Quindi devo cominciare a suddividere un po' le puntate delle mie recensioni. Almeno per argomento, altrimenti finisce che mi metto a stampare una fanzine (cosa che farei di corsa, figuriamoci, ma adesso non è proprio il momento).
Qui sotto, tanto per cominciare, eccovi una bella informata di garage-beat, grazie alle nuove preziosissime uscite targate Area Pirata. Un poker vinilico davvero ottimo e in grado di sbancare il banco dopo solo un primo ascolto.

The Trip Takers - Don't Back Out Now
Un bel "viaggio" Anni Sessanta tra beat e pop da capogiro. E' davvero un piacere appoggiare la puntina su "Don't Back Out Now", secondo disco in lp dei The Trip Takers, appena pubblicato da Area Pirata. La band messinese sembra uscita direttamente dai locali fumosi della swinging London e va a braccetto con le sonorità di Small Faces, Creation e Kinks, tanto per citare alcuni nomi di grido. Un approccio filologico e totalmente nostalgico, che saprà scaldarvi i cuori grazie a melodie deliziose, infarcite di corretti e qualche svisata psichdelica, come nelle code di "The Knight & The Hag" e della conclusiva "Wonder For A Way". Tra i brani migliori svettano senza dubbio "Why Don't You Come Home?", con il suo ritmo agrodolce e scanzonato e "Gamblin' Gal", sorretta da una chitarra ruspante e da una pioggia di suoni scintillanti. Ma è davvero difficile scegliere tra una canzone e l'altra, vista l'alta qualità globale del disco. Un album interamente votato all'amore per i sixties, che colpisce sin dal primo ascolto.

The Backdoor Society - s/t
Parlando ancora di beat - ma questa volta in salsa garage - il primo lp omonimo dei The Backdoor Society (sempre fuori per Area Pirata) mette insieme una serie di piccole schegge di rock selvaggio, che vi faranno girare la testa. Ritmi serrati, riff di chitarra al limite dello "speed surf" a inseguire basso e batteria e una voce sgraziata al punto giusto, sono gli ingredienti principali dell'album. Una buona dose di sonorità vintage - la band lo chiama Dutch beat, perché guarda al modello dei gruppi olandesi degli Anni Sessanta - lanciate a bomba contro ogni moda e ogni musica di tendenza (fortunatamente). Le danze scatenate di "The Magic's Gone" e "You Wish Me Back" sono un vero toccasana per chi ama il rock'n'roll sanguigno, mentre ballate come "Pitch Me Out", "Please Don't Worry" e soprattutto "You", sono in grado di toccare le corde giuste, senza rinunciare un'attitudine sporca e cattiva. Senza farla troppo lunga: davvero un grande esordio per questa band piacentina, che ci regala un disco compatto e ricco di ispirazione.

Tony Borlotti e i suoi Flauers - Belinda contro i mangiadischi
Ad ascoltare Tony Borlotti e i suoi Flauers viene quasi voglia di farsi i capelli a caschetto, abbandonare le magliette nere dei Joy Division per indossare camicie a fiori e tuffarsi in un mondo di colori sgargianti e buoni sentimenti. E' inutile: anche certi inguaribili mugugnoni e misantropi come il sottoscritto non possono che alzare bandiera bianca (o forse sarebbe meglio dire gialla) di fronte alle armonie vocali, gli stacchetti e le melodie appiccicose di "Belinda contro i mangiadischi", ultimo lavoro della storica band salentina, dedita, da quasi 25 anni, a un infaticabile omaggio agli Anni Sessanta italiani. Il disco, ancora una volta, porta il marchio di Area Pirata, una delle etichette più attive e prolifiche in materia di revival sixties. Come da tradizione l'album infila, una dopo l'altra, una serie di canzoni che potrebbero essere uscite dalla penna dei Corvi e dell'Equipe 84: musica da ballare fino a notte fonda e da amare incondizionatamente.

Cannon Jack & The Cables - Primitivo/Big bad monkey man
Bastano due pezzi - quelli contenuti in questo 45 giri bollente - per innamorarsi dei Cannon Jack & The Cables. Garage-fuzz al fulmicotone cantato in italiano e in inglese come Dio comanda. Un party selvaggio a base di chitarre sfrigolanti e Farsifa, due schegge accuminate che vi frantumeranno le orecchie e faranno poltiglia di tutti i vostri buoni propositi. "Primitivo" (lato A) dice già tutto nel titolo, mentre "Big bad monkey man" è un pezzo di garage tribale, inciso dentro una caverna della giungla nera.







mercoledì 1 maggio 2019

Alla sera leggevamo i gekiga

Prima ancora di venire folgorato dal punk alla fine della terza media, il mio cuore di sbarbo era in pieno subbuglio per quella che, oggi, è a tutti gli effetti la mia più antica e bruciante passione: i manga. Un amore sbocciato sin dalla prima elementare con i cartoni di Ken il Guerriero (guardati di nascosto da miei genitori su Junior Tv) e poi esploso letteralmente grazie a una vicina di casa più grande di almeno una dozzina d'anni, che una sera di inizio Anni Novanta mi ha fatto conoscere il fumetto di Akira, pubblicato all'epoca da Glenat Italia. Avevo 8 anni, ero in quarta elementare e quella violenza così feroce e mai edulcorata, quei disegni rotondi e al tempo stesso realistici e quelle storie così adulte e travolgenti mi hanno immediatamente conquistato.
Da quel momento non mi sono più fermato e, per tutto il resto della mia vita - e cioè i 30 anni, successivi -, ho continuato a comprare con cadenza regolare e alterno fervore i "fumetti giapponesi" (come li ho sempre prosaicamente chiamati).
Nel corso del tempo la passione non è mai venuta meno, anche se con variabile intensità. Da adolescente, per esempio, pur continuando a collezionare volumetti e a seguire alcune serie tutti i mesi, sono stato quasi completamente risucchiato dalla musica, dai concerti, dalle riviste rock, dalle fanzine, dalla birra, dalle tipelle e da tutto quello che si muoveva intorno. E i manga ho cominciato a cagarli un po' meno. Ci sono stati momenti in cui mi sono persino spinto a leggere qualche fumetto americano e italiano, scoprendo Magnus, Andrea Pazienza, Garth Ennis, Warren Ellis e Alan Moore. Insomma in tre decenni di appostamenti alle edicole ed esplorazioni nelle librerie specializzate ho attraversato varie fasi, senza mai abbandonare completamente quella passione che mi aveva cambiato la vita da bambino (dal 1993, per esempio, continuo a comprare ininterrottamente "Le bizzarre avventure di JoJo").
Qualche anno fa, però, due "episodi" hanno risvegliato prepotentemente la mia scimmia manga che si era leggermente assopita con l'avanzare dei capelli bianchi: la pubblicazione di alcuni classici Anni Sessanta-Settanta e Ottanta di Nagai, Tezuka e Ishinomori (più il mitico "Kagemaru Den" di Shirato) e la scoperta del gekiga, il fumetto adulto e "verista" nato alla fine degli anni '50 e codificato, in Giappone, sulle pagine della rivista "Garo".
A parlarmi per la prima volta di "gekiga" è stato Paolo Cattaneo, amico del giro dei concerti genovesi e fumettista di grande talento (recuperate i suoi due lavori usciti per Canicola, "L'estate scorsa" e "Manuelone": non ve ne pentirete!). Una sera, mentre facevo il barista volontario all'Altrove spillando birre e fingendo di preparare cocktail, ci siamo messi a chiacchierare a ruota libera di fumetti. E mentre gli raccontavo della mia passione atavica per i manga, avanzando qualche perplessità sulle nuove uscite (anzi, sui titoli pubblicati negli ultimi 15 anni), Paolo mi ha chiesto a bruciapelo: "Ma tu hai mai letto qualche storia gekiga?". Naturalmente non sapevo neppure di cosa stesse parlando e quando mi ha rivelato che Coconino aveva iniziato a pubblicare una serie di volumi dedicati a questo tipo di manga più adulto, introspettivo e talvolta a tinte noir, nato a fine Anni Cinquanta nel tentativo di distinguersi nettamente dai fumetti per bambini e di mero intrattenimento, ho iniziato a guardare su Internet qualche titolo. Quella chiacchierata mi ha aperto un mondo e da qual momento ho cercato con avidità tutte le uscite della collana. Così ho scoperto autori incredibili come i fratelli Tsuge, Tadao e Yoshiharu, grandi maestri come Yoshihiro Tatsumi, Susumu Katsumata e il giro dei fumetti horror grotteschi, che col gekia c'entrano assai poco, ma che restano delle perle assolute (parlo delle opere di Kazuo Umezu - o Umezz come si fa chiamare a volte - Suhehiro Maruo e Hideshi Hino). Neanche a farlo a posta, in questi ultimi anni, la pubblicazione dei lavori degli autori gekiga è stata fittissima, tanto che fatico non poco a stargli dietro (parliamo sempre di volumi che variano tra i 18 e i 30 euro). Comunque grazie a qualche colpo di fortuna e a qualche parente illuminato che per i regali di Natale e compleanno consulta le mie liste "della spesa", sono riuscito a mettere insieme un po' di materiale interessante. Ed è per questo che ho deciso di fare qualche piccola e rapida recensione di una selezione di ciò che ho raccolto in questi tre anni.

Una vita tra i margini - Yoshihiro Tatsumi
Anche se solo recentemente sono riuscito a mettere le mani su questo fumetto, credo che uno dei modi migliori par conoscere il gekiga sia partire da questo corposo volume di 800 pagine, dato alle stampe da Bao sette anni fa. Non si tratta di una vecchia storia Anni 50 e il conto che vi troverete a pagare non è dei più economici (29 euro, anche se io ho avuto la fortuna di trovarlo praticamente a metà prezzo su Ebay: quindi cercatelo all'usato, che non si sa mai...), eppure sono dell'idea che chiunque voglia comprendere meglio questo lato oscuro del fumetto giapponese non possa che passare da qui. L'opera, scritta tra gli Anni Novanta e i primi Duemila (Tatsumi è morto nel 2015) racconta la storia personale dell'autore (anche se con un altro nome) e la nascita dell'epopea gekiga, di cui Tatsumi è stato in un certo senso l'inventore e sicuramente uno dei nomi di spicco. Siamo nel Giappone del dopoguerra, nel periodo in cui iniziano a uscire le riviste di fumetti a prestito. Il tratto del disegno è semplice e diretto, la storia assomiglia al romanzo di formazione di un'intera generazione di artisti. Non è una lettura facile, anche se piuttosto scorrevole, perché è un fumetto nel fumetto, un manga nel manga. Una vicenda ricca di rimandi storici, che resta un passaggio obbligato per chiunque voglia conoscere la vera storia del gekiga. Di Tatsumi la casa editrice Coconino ha pubblicato anche una serie di raccolte di racconti brevi altrettanto imprescindibili, di cui, per il momento ho solo l'ottimo "Crocevia". Bao, invece, ha dato alle stampe uno dei suoi primi lavori di rottura, "Tormenta nera", del 1956, in un'edizione davvero interessante dal punto di vista grafico. Anche Oblomov edizioni ha pubblicato alcune perle di Tatsumi come "I pescatori di mezzanotte".


L'uomo senza talento - Yoshiharu Tsuge
Se dovessi indicare una storia a fumetti che tutti dovrebbero leggere, indipendentemente dalla loro passione e dal genere gekiga, citerei sicuramente "L'uomo senza talento", pubblicato da Canicola nel 2017, come primo volume di una trilogia dedicata a Tsuge, a cui sono seguiti (nel 2018 e pochi giorni fa) gli ottimi "Il giovane Yoshio" e "La stanza silenziosa". Tre volumi imprescindibili, anche a se, come detto, "L'uomo senza talento" rimane la punta di diamante dell'intera "serie". Il racconto è una lenta discesa agli inferi della propria inadeguatezza, un storia cruda, ma al tempo stesso carveriana - anche se non credo che Tsuge conoscesse Carver - attraverso la quale l'autore mette a nudo tutte le proprie sofferenze umane ed esistenziali. La vicenda parla di un mangaka fallito, un uomo "senza talento", appunto, che prova in tutti i modi a sbarcare il lunario, senza troppa fortuna. Il tratto di Tsuge, così come quello di Tatsumi e dell'intera scuola gekiga, è essenziale e piuttosto realista. E sono proprio queste matite scarne e rigide e rendere ancora più squallido e desolante il tono del racconto. Ci sono molti tratti autobiografici in quest'opera, anche perché Tsuge non ha mai potuto vantare una produzione corposa e ricca di soddisfazioni economiche. "L'uomo senza talento" è uscito in Giappone nel 1986 e non rappresenta solo l'apice artistico di quest'autore semisconosciuto in Italia: è anche la sua ultima pubblicazione, prima del ritiro dalle scene nel 1987. Un testamento feroce e amarissimo.
Assolutamente da recuperare anche la raccolta di racconti "Destino", pubblicata recentemente da Oblomov.

La mia vita in barca vol. 1 e 2 - Tadao Tsuge
I due volumi di Coconino che raccolgono alcuni racconti Anni Novanta di Tadao Tsuge, fratello di Yoshiharu, sono stati il mio primo incontro con il gekiga. Non ricordo perché sia partito da lì, ma credo che chiunque voglia leggere "manga" alternativi e guardare alla cultura giapponese con uno sguardo più autentico non debba farsi scappare questi due corposi volumi. "La mia vita in barca" è stato pubblicato a puntate dal 1997 al 2001 su una rivista di pesca e raccoglie una serie di storie dal piglio pacato e dal tratto sghembo, che regalano pochi sorrisi e qualche amarezze. Lungo queste pagine (circa seicento in tutto) si snodano storie minime di vita quotidiana, fatte di lunghi silenzi, attese e piccole conquiste. Anche qui il metro di paragone occidentale che mi viene da utilizzare è quello del verismo e del carverismo, generi che mescolano tragedie umane (anche se in forma ridotta, per quel che riguarda "La mia vita in barca") e storie in cui - apparentemente - non accade quasi mai nulla. Il protagonista, Tsuda, è uno scrittore da quattro soldi e senza ispirazione, che decide di comprare una barca e passare un po' di tempo da solo, lontano dal negozio della moglie. La sua vita scorre lenta, insieme alle stagioni, tra pesci che non abboccano, tempeste e vecchi amici. Sembra quasi di leggere quei romanzi ambientati nella profonda provincia americana, come il ciclo di Holt di Kent Haruf.

Naturalmente ci sono tantissimi altri volumi bellissimi da leggere e da scoprire come, solo per citarne un paio, "Neve rossa" di Katsumata o "Flight" di Kuniko Tsurita (entrambi della collana Coconino diretta dal grande Vincenzo Filosa, fumettista e autore di un cult come "Viaggio a Tokyo", uscito per Canicola).
In un altro post parlerò anche delle ristampe di Nagai, Tezuka e co. e dei manga horror. Ma ora non vorrei farla troppo lunga ed è meglio che mi fermi qui.