Prima
ancora di venire folgorato dal punk alla fine della terza media, il mio
cuore di sbarbo era in pieno subbuglio per quella che, oggi, è a
tutti gli effetti la mia più antica e bruciante passione: i manga.
Un amore sbocciato sin dalla prima elementare con i cartoni di Ken il
Guerriero (guardati di nascosto da miei genitori su Junior Tv) e poi
esploso letteralmente grazie a una vicina di casa più grande di
almeno una dozzina d'anni, che una sera di inizio Anni Novanta mi ha
fatto conoscere il fumetto di Akira, pubblicato all'epoca da Glenat
Italia. Avevo 8 anni, ero in quarta elementare e quella violenza così
feroce e mai edulcorata, quei disegni rotondi e al tempo stesso
realistici e quelle storie così adulte e travolgenti mi hanno
immediatamente conquistato.
Da
quel momento non mi sono più fermato e, per tutto il resto della mia
vita - e cioè i 30 anni, successivi -, ho continuato a comprare con
cadenza regolare e alterno fervore i "fumetti giapponesi"
(come li ho sempre prosaicamente chiamati).
Nel
corso del tempo la passione non è mai venuta meno, anche se con
variabile intensità. Da adolescente, per esempio, pur continuando a
collezionare volumetti e a seguire alcune serie tutti i mesi, sono
stato quasi completamente risucchiato dalla musica, dai concerti,
dalle riviste rock, dalle fanzine, dalla birra, dalle tipelle e da
tutto quello che si muoveva intorno. E i manga ho cominciato a
cagarli un po' meno. Ci sono stati momenti in cui mi sono persino
spinto a leggere qualche fumetto americano e italiano, scoprendo
Magnus, Andrea Pazienza, Garth Ennis, Warren Ellis e Alan Moore.
Insomma in tre decenni di appostamenti alle edicole ed esplorazioni
nelle librerie specializzate ho attraversato varie fasi, senza mai
abbandonare completamente quella passione che mi aveva cambiato la
vita da bambino (dal 1993, per esempio, continuo a comprare
ininterrottamente "Le bizzarre avventure di JoJo").
Qualche
anno fa, però, due "episodi" hanno risvegliato
prepotentemente la mia scimmia manga che si era leggermente assopita
con l'avanzare dei capelli bianchi: la pubblicazione di alcuni
classici Anni Sessanta-Settanta e Ottanta di Nagai, Tezuka e
Ishinomori (più il mitico "Kagemaru Den" di Shirato) e la
scoperta del gekiga, il fumetto adulto e "verista" nato
alla fine degli anni '50 e codificato, in Giappone, sulle pagine
della rivista "Garo".
A
parlarmi per la prima volta di "gekiga" è stato Paolo
Cattaneo, amico del giro dei concerti genovesi e fumettista di grande
talento (recuperate i suoi due lavori usciti per Canicola, "L'estate
scorsa" e "Manuelone": non ve ne pentirete!). Una
sera, mentre facevo il barista volontario all'Altrove spillando birre
e fingendo di preparare cocktail, ci siamo messi a chiacchierare a
ruota libera di fumetti. E mentre gli raccontavo della mia passione
atavica per i manga, avanzando qualche perplessità sulle nuove
uscite (anzi, sui titoli pubblicati negli ultimi 15 anni), Paolo mi
ha chiesto a bruciapelo: "Ma tu hai mai letto qualche storia
gekiga?". Naturalmente non sapevo neppure di cosa stesse
parlando e quando mi ha rivelato che Coconino aveva iniziato a
pubblicare una serie di volumi dedicati a questo tipo di manga più
adulto, introspettivo e talvolta a tinte noir, nato a fine Anni
Cinquanta nel tentativo di distinguersi nettamente dai fumetti per
bambini e di mero intrattenimento, ho iniziato a guardare su Internet
qualche titolo. Quella chiacchierata mi ha aperto un mondo e da qual
momento ho cercato con avidità tutte le uscite della collana. Così
ho scoperto autori incredibili come i fratelli Tsuge, Tadao e
Yoshiharu, grandi maestri come Yoshihiro Tatsumi, Susumu Katsumata e
il giro dei fumetti horror grotteschi, che col gekia c'entrano assai
poco, ma che restano delle perle assolute (parlo delle opere di Kazuo
Umezu - o Umezz come si fa chiamare a volte - Suhehiro Maruo e
Hideshi Hino). Neanche a farlo a posta, in questi ultimi anni, la
pubblicazione dei lavori degli autori gekiga è stata fittissima,
tanto che fatico non poco a stargli dietro (parliamo sempre di volumi
che variano tra i 18 e i 30 euro). Comunque grazie a qualche colpo di
fortuna e a qualche parente illuminato che per i regali di Natale e
compleanno consulta le mie liste "della spesa", sono
riuscito a mettere insieme un po' di materiale interessante. Ed è
per questo che ho deciso di fare qualche piccola e rapida recensione
di una selezione di ciò che ho raccolto in questi tre anni.
Una
vita tra i margini - Yoshihiro Tatsumi
Anche
se solo recentemente sono riuscito a mettere le mani su questo
fumetto, credo che uno dei modi migliori par conoscere il gekiga sia
partire da questo corposo volume di 800 pagine, dato alle stampe da
Bao sette anni fa. Non si tratta di una vecchia storia Anni 50 e il
conto che vi troverete a pagare non è dei più economici (29 euro,
anche se io ho avuto la fortuna di trovarlo praticamente a metà
prezzo su Ebay: quindi cercatelo all'usato, che non si sa mai...),
eppure sono dell'idea che chiunque voglia comprendere meglio questo
lato oscuro del fumetto giapponese non possa che passare da qui.
L'opera, scritta tra gli Anni Novanta e i primi Duemila (Tatsumi è
morto nel 2015) racconta la storia personale dell'autore (anche se
con un altro nome) e la nascita dell'epopea gekiga, di cui Tatsumi è
stato in un certo senso l'inventore e sicuramente uno dei nomi di
spicco. Siamo nel Giappone del dopoguerra, nel periodo in cui
iniziano a uscire le riviste di fumetti a prestito. Il tratto del
disegno è semplice e diretto, la storia assomiglia al romanzo di
formazione di un'intera generazione di artisti. Non è una lettura
facile, anche se piuttosto scorrevole, perché è un fumetto nel
fumetto, un manga nel manga. Una vicenda ricca di rimandi storici,
che resta un passaggio obbligato per chiunque voglia conoscere la
vera storia del gekiga. Di Tatsumi la casa editrice Coconino ha
pubblicato anche una serie di raccolte di racconti brevi altrettanto
imprescindibili, di cui, per il momento ho solo l'ottimo "Crocevia".
Bao, invece, ha dato alle stampe uno dei suoi primi lavori di
rottura, "Tormenta nera", del 1956, in un'edizione davvero
interessante dal punto di vista grafico. Anche Oblomov edizioni ha
pubblicato alcune perle di Tatsumi come "I pescatori di
mezzanotte".
L'uomo
senza talento - Yoshiharu Tsuge
Se
dovessi indicare una storia a fumetti che tutti dovrebbero leggere,
indipendentemente dalla loro passione e dal genere gekiga, citerei
sicuramente "L'uomo senza talento", pubblicato da Canicola
nel 2017, come primo volume di una trilogia dedicata a Tsuge, a cui
sono seguiti (nel 2018 e pochi giorni fa) gli ottimi "Il giovane
Yoshio" e "La stanza silenziosa". Tre volumi
imprescindibili, anche a se, come detto, "L'uomo senza talento"
rimane la punta di diamante dell'intera "serie". Il
racconto è una lenta discesa agli inferi della propria
inadeguatezza, un storia cruda, ma al tempo stesso carveriana - anche
se non credo che Tsuge conoscesse Carver - attraverso la quale
l'autore mette a nudo tutte le proprie sofferenze umane ed
esistenziali. La vicenda parla di un mangaka fallito, un uomo "senza
talento", appunto, che prova in tutti i modi a sbarcare il
lunario, senza troppa fortuna. Il tratto di Tsuge, così come quello
di Tatsumi e dell'intera scuola gekiga, è essenziale e piuttosto
realista. E sono proprio queste matite scarne e rigide e rendere
ancora più squallido e desolante il tono del racconto. Ci sono molti
tratti autobiografici in quest'opera, anche perché Tsuge non ha mai
potuto vantare una produzione corposa e ricca di soddisfazioni
economiche. "L'uomo senza talento" è uscito in Giappone
nel 1986 e non rappresenta solo l'apice artistico di quest'autore
semisconosciuto in Italia: è anche la sua ultima pubblicazione,
prima del ritiro dalle scene nel 1987. Un testamento feroce e
amarissimo.
Assolutamente
da recuperare anche la raccolta di racconti "Destino",
pubblicata recentemente da Oblomov.
La
mia vita in barca vol. 1 e 2 - Tadao Tsuge
I
due volumi di Coconino che raccolgono alcuni racconti Anni Novanta di
Tadao Tsuge, fratello di Yoshiharu, sono stati il mio primo incontro
con il gekiga. Non ricordo perché sia partito da lì, ma credo che
chiunque voglia leggere "manga" alternativi e guardare alla
cultura giapponese con uno sguardo più autentico non debba farsi
scappare questi due corposi volumi. "La mia vita in barca"
è stato pubblicato a puntate dal 1997 al 2001 su una rivista di
pesca e raccoglie una serie di storie dal piglio pacato e dal tratto
sghembo, che regalano pochi sorrisi e qualche amarezze. Lungo queste
pagine (circa seicento in tutto) si snodano storie minime di vita
quotidiana, fatte di lunghi silenzi, attese e piccole conquiste.
Anche qui il metro di paragone occidentale che mi viene da utilizzare
è quello del verismo e del carverismo, generi che mescolano tragedie
umane (anche se in forma ridotta, per quel che riguarda "La mia
vita in barca") e storie in cui - apparentemente - non accade
quasi mai nulla. Il protagonista, Tsuda, è uno scrittore da quattro
soldi e senza ispirazione, che decide di comprare una barca e passare
un po' di tempo da solo, lontano dal negozio della moglie. La sua
vita scorre lenta, insieme alle stagioni, tra pesci che non
abboccano, tempeste e vecchi amici. Sembra quasi di leggere quei
romanzi ambientati nella profonda provincia americana, come il ciclo
di Holt di Kent Haruf.
Naturalmente
ci sono tantissimi altri volumi bellissimi da leggere e da scoprire
come, solo per citarne un paio, "Neve rossa" di Katsumata o
"Flight" di Kuniko Tsurita (entrambi della collana Coconino
diretta dal grande Vincenzo Filosa, fumettista e autore di un cult
come "Viaggio a Tokyo", uscito per Canicola).
In
un altro post parlerò anche delle ristampe di Nagai, Tezuka e co. e
dei manga horror. Ma ora non vorrei farla troppo lunga ed è meglio
che mi fermi qui.
Scrivi davvero bene
RispondiElimina❤️
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