Rieccomi con un po' di belle novità. Due delle quali tutte liguri. Per il momento non ho altro da dire, vostro onore.
Manges - Punk Rock Addio
"Punk Rock Addio", il nuovo
disco dei Manges esce tra una decina di giorni, ma grazie ai miei
potentissimi mezzi (scherzo) sono riuscito a sentire in anteprima gli
mp3. L'album, è bene dirlo subito, è strepitoso: non ha un pezzo
fuori posto e suona alla perfezione (grazie anche all'impeccabile
produzione di Lorenzo Moretti e Danilo Silvestri dei Giuda). Chi
temeva, magari suggestionato dal titolo, che la band spezzina
mollasse il vecchio punk rock per battere nuovi territori musicali
stia tranquillo: a parte qualche timida divagazione (che tra l'altro
corrisponde ad alcuni dei pezzi migliori in scaletta), "Punk
Rock Addio" non è così diverso dai precedenti lavori dei
Manges. E secondo me è un'ottima notizia. Siamo sinceri: credo che
siano pochissimi i fan della band in attesa di una qualche svolta
musicale. Tutti, me compreso, non vedono l'ora di ascoltare la solita
splendida broda a base di tre accordi veloci e melodie a presa
rapida. E "Punk Rock Addio" va proprio in questa direzione:
12 pezzi spesso sotto i due minuti, che suonano come un martello
pneumatico ricoperto di zucchero, pronto a traforarvi le orecchie. La
voce di Andrea - secondo me il vero marchio di fabbrica della band -
è come al solito perfetta. A chi continua a menarla con la storia
dei cloni dei Ramones (e vabbè, grazie al cazzo!), rispondo subito
che i Manges, in 27 anni di onorata carriera, sono riusciti a
sviluppare uno stile talmente personale e riconoscibile, che il
paragone con i 4 finti fratellini newyorkesi regge fino a un certo
punto. Forse, diversamente dal passato, "Punk Rock Addio" è
un po' più tirato e meno pop del solito e le melodie migliori sono
riservate ai pezzi meno in linea con la classica formula punk-rock.
Detto questo, dopo oltre dieci ascolti filati, non mi sono ancora
stancato di schiacciare il tasto play. Ma vediamo come sono queste
canzoni e partiamo proprio da quelle non allineate. "Paninaro",
per esempio, con i suoi sintetizzatori bubblegum è davvero un brano
irresistibile. Sembra un pezzo degli Epoxies in versione Lookout
Records: pagherei oro per un disco tutto così. L'altro pezzo
'insolito' è "Tootsie Rolls" un plagio autorizzato (vista
la presenza di Lorenzo e Danilo in regia) dei Giuda, ma anche la
dimostrazione che se i Manges volessero mettersi a fare glam non
sfigurerebbero affatto. "Take it on the Chin", uno dei
brani più melodici del disco, è una cover di William Elliott
Whitmore, cantante country statunitense, mentre "Off my tree"
è un pezzo scritto da CJ Ramone e ragalato alla band: una canzone
carina, ma non irresistibile. Il resto, come detto, è una
mitragliata di classico punk rock suonato a manetta, senza un attimo
di respiro. Dal trittico iniziale "Next to zero", "Vietnam
addio" e "Endless detention" - stile primi Ramones
(anche se avevo detto che non avrei fatto paragoni) - a "Ice
capades", un surf punk robotico, da mare blu metallizzato. E poi
ancora il pop-punk trascinante di "Chinese dragons", le
bastonate a suon di riff di "Viper room", "North Korea", con una strofa melodica deliziosa che mi
ricorda "Vengeance is mine" (uno dei mie prezzi preferiti
dei Manges) e il rock'n'roll di "L.E.N.D.O.R.M.I.N.", che
ricorda (non solo nel titolo) "R.A.M.O.N.E.S." (aridaje).
Come ho già detto: un disco davvero splendido: semplice e diretto,
come quasi nessuno sembra più essere in grado di fare. Eppure la prima volta
che ho ascoltato "Punk Rock Addio" erano davvero pochi i
pezzi che mi avevano colpito. Ora che le mie orecchie lo hanno
macinato almeno una decina di volte, però, ne vado letteralmente
pazzo. Mi ci sono voluti almeno tre ascolti per iniziare ad amarlo.
Ma forse è perché ormia, anche chi ascolta punk-rock a palate è
meno abituato a una certa immediatezza. E così, quando ci si
ripresenta davanti restiamo tutti un po' interdetti. Detto questo,
"Punk Rock Addio" è uno dei dieci dischi più belli usciti
quest'anno. Lo dico senza timore di smentita e nonostante manchino tre mesi
e mezzo al 31 dicembre. Non so se sarà davvero l'epitaffio dei
Manges. Se così fosse credo che i ragazzi non avrebbero potuto
scegliere un album migliore. Siamo ai vertici della loro discografia.
Cocks - Arena
Conosco i Cocks da quando facevano
ancora il liceo e venivano ai concerti punk-rock al TDN. Erano dei
ragazzini, ma si capiva subito che avevano l'attitudine giusta. Oggi
che sono degli uomini e girano l'Italia e l'Europa con la loro band
credo siano arrivati a un punto di svolta importante. "Arena",
il nuovo ep targato Flamingo Records, è forse il loro disco migliore
in assoluto. E sancisce la definitiva maturazione di un gruppo che,
dopo essere nato tra i banchi di scuola e aver pagato dazio alle
classiche influenze musicali di chi ha iniziato ad ascoltare
punk-rock una dozzina di anni fa, oggi può contare su un suono
solido e assolutamente personale. La differenza che salta subito alle
orecchie rispetto al passato è la voce
di Antonio, che in queste cinque tracce è decisamente meno impostata
e più naturale. Anche la struttura dei pezzi è più libera e meno
legata a certi cliché del punk-rock di nuova generazione. Spesso,
quando sento parlare dei Cocks l'etichetta che viene utilizzata più frequentemente per definire la loro musica è pop-punk. Sinceramente ho
sempre preferito parlare di hc melodico, perché è da lì, secondo
me, che bisognerebbe partire per provare a capire dove collare questa band. Poi certo, per chi suona sentir parlare di certe etichette è una gran rottura
di scatole da giornalistucoli o critici da quattro soldi. Ma a me
hanno sempre aiutato a capire, in anticipo, l'essenza stessa di un
gruppo. Passando invece alle canzoni di questo ep credo che i Cocks
abbiamo sviluppato una certa compattezza di fondo, mescolando a
dovere melodia, malinconia e velocità. Come conferma anche l'artwork
– disseminato di una serie di vecchie foto e cartoline color seppia
del quartiere genovese di Sampierdarena, dove la band è nata - lo spirito del disco è
molto nostalgico. Lo si percepisce immediatamente in "The secret"
e in "Alpha", i due pezzi di apertura, pieni di melodie
liquide e corali. "Full speed haed" è forse il
brano più 'duro' del disco, anche se restiamo sempre nei territori
del pop-core. "Day by day", invece, è una classica ballata
punk-hc, di quelle che partono piano, ma che sanno toccare le corde
del cuore senza perdere intensità. Chiude l'ep "Boomers alert",
che oltre al titolo divertente, è una altro pezzo malinconico e
dilatato, perfetto per concludere un disco: una sorta di psichedelia
hardcore. Un ringraziamento speciale va senza
dubbio a Emi e Alberto di Flamingo Records che, ancora una volta, non
solo danno alle stampe un ottimo album, ma dimostrano di essere un punto di
riferimento fondamentale per la scena genovese e il suo sviluppo.
Credo che senza la loro passione e il loro entusiasmo questa città sarebbe molto meno ricca di band e dischi. Da quando hanno
aperto il loro negozio in piazza delle Vigne sono cresciuti
tantissimo e hanno dato un contributo essenziale alla crescita dei gruppi di casa
nostra. Grazie, ragazzi!
Ghiblis - Domino
E' passato un anno dal singolo dei
Ghiblis, che ho recensito su questo blog scalcinato. E oggi la band
piacentina torna a farsi sentire con un album di 11 pezzi, targato
ancora una volta Area Pirata e intitolato "Domino". Gli
ingredienti sono sempre gli stessi: surf strumentale, mescolato a un
retrogusto esotico ed etnico. Una sorta di world-surf, se mi passate
il termine, con il sax in primo piano e l'amore per le colonne sonore
anni Sessanta e Settanta a fare da sfondo. Certo, la matrice surf è
quella predominante, ma sono i dettagli a rendere questo disco molto
diverso dal classico album per coloro che amano cavalcare le onde su
una tavola di legno. L'atmosfera è quella della balera da ultima
spiaggia, un mix di vecchi smoking sgualciti e di cocktail party a
base di droghe psichedeliche e pieni di brutti ceffi. I brani
sembrano un inno alla decadenza malinconica, un soffio di aria
viziata a increspare il mare inquinato. Un esempio di
quest'inquietudine di fondo è la title-track, "Domino",
con quelle voci soffuse che ogni tanto si fanno largo tra le chitarre
poliziesche e ripetitive. Più classicamente surf "La nana",
"The dachschund walk", “Oki Doki” e “Gonzo twist”,
ma se questo genere musicale ha quasi sempre sprigionato una vitalità
quasi rilassata e pacifica, nella versione dei Ghiblis assume un tono
più nero e perturbante. Il lato dark della musica da spiaggia.
Dayglo Demons - Dayglo Demons
Una lunga suite di quasi un'ora dentro
la quale si intersecano punk, noise, avanguardia, surf, jazz, raggae,
rap, elettronica minimale e sperimentazioni varie. Non è facile
inquadrare un disco selvaggio e totalmente fuori schema come quello
di Dayglo Demons: un album lungo 28 pezzi, totalmente autoprodotto e
distribuito da Area Pirata. Le poche cose che so dell'autore - Dario
Troso aka Gopher, storico esponente dell'underground italiano e in
particolar modo della scena punk-hc anni Ottanta e rap anni Novanta
(ha partecipato ad alcune esperienze leggendarie come l'Isola Posse)
- non aiutano molto a capire. Ma in questi casi l'unico modo per
approcciarsi a un disco così intricato e al tempo stesso
affascinante è infilarlo nello stereo e acoltarlo. Almeno due o tre volte di fila. E così
ho fatto. Anche se non è un'esperienza agevole. Proprio per questo
“Dayglo Demons” è un disco punk nel più crudo e viscerale senso
del termine. Un ammasso di suoni sporchi e registrati in bassa
definizione, una miscela di influenze e passioni diverse, che però
sembrano nascondere un unico filo conduttore: la ferocia. Episodi più
classicamente rock (o punk) come "Grave diggin'",
"Invisible sun" e "Paperback writer" si alternano
a suoni di tamburi, trombe free, divagazioni etnico-elettroniche e
spippolamenti vari. Il disco sembra una versione più accessibile e
variegata (diciamo più rock) di Bologna Violenta. Anche se la rabbia
di fondo mi pare la stessa. Ci sono chitarre che sfrigolano come
zanzare contro un lampione acceso, batterie elettroniche sparate a
mille all'ora e una voce ruvida, perfetta per l'hardcore, ma anche
per il raggae ("Wrong direction") e per il rap-core ("Quiet
maze"). Tutti i brani sono piccoli frammenti sonici, messi uno
in fila all'altro per disorientare l'ascoltatore. In poche parole una
macedonia di frutta fresca e verdura marcia, che i meno corazzati di
voi impiegheranno pochissimo a odiare.
The Smoking Bones - Down to the high
Un pezzo originale e una cover di
Elvis. Pronti via. Scivola rapido, ma lascia comunque il segno "Down
to the high", il singolo degli Smoking Bones pubblicato da Area
Pirata. Gli ingredienti principali sono il rock roccioso anni
Settanta e buona vena melodica. Gli Smoking Bones hanno un suono
pieno, costruito su ottimi ritornelli a base di cori poderosi (la
title track). Ma sanno anche reinterpretare a modo loro e senza
timore reverenziale un classico del Re come "Burning love",
trasformandolo in un trascinante pezzo power-pop tutto da ballare. Un
singolo appetitoso per chi ama il rock, senza tante declinazioni.
Maximilian D - Maximilian D
Voce impastata da alcol e sigarette,
cappellaccio da gringo e stivali di pelle ai piedi. Me lo immagino
così Maximilian D - e cioè Massimiliano Muoio degli storici Nia
Punx - mentre registra questi 11 pezzi in bilico fra country,
musica rurale, blues minimale, atmosfere mariachi e rock
scarnificato. Roba da cowboy con i pantaloni strappati e la spilla
dei Gun Club attaccata sul chiodo sdrucito. Un tex-mex insaporito
alla nduja, con la voce cavernosa di Massimiliano che mastica le
corde della chitarra e del banjo in un assolato pomeriggio di agosto.
Questo album, pubblicato da Mania Records e uscito lo scorso anno, è
carico di echi e riverberi, melodie inquiete e solenni e lunghe
cavalcate soniche. Un disco molto americano, non solo nei suoni,
forte di una grande compattezza di fondo. E' come se Maximilian D avesse
voluto esplorare il lato più dark e goth della musica country,
mescolando vampiri e vecchi fuorilegge a cavallo. Non è facile
scegliere un pezzo più rappresentativo,vista la coesione dei brani.
Personalmente mi piacciono molto "Rattlesnakes", la
ballata "Memories of your future past", con quella sua
chitarra deliziosa e carica di malinconia e "Blues is my heart", un vero gioiello che risplende lungo la linea dell'orizzonte. Insomma, come avrete capito si tratta di un disco molto intenso e da scoprire ascolto dopo ascolto. A tratti mi ricorda i genovesi Sleeves. Anzi, credo proprio che questo album possa piacere parecchio ai fratelli Cheldi e ai loro fan.