martedì 7 novembre 2017

Gianfraco Manfredi mercoledì (domani) all'Aut Aut presenta "Ma chi ha detto che non c'è"

Ho scoperto e amato la musica di Gianfranco Manfredi ancora prima di perdere la testa per il punk. Avrò avuto 11 o 12 anni e mentre ascoltavo una delle mitiche cassette dell'Italia del Rock, la collana uscita in edicola con Repubblica nei primi Novanta che ha rappresentato una tappa fondamentale della mia educazione musicale, mi sono imbattuto in "Quarto Oggiaro Story", una canzone a dir poco incredibile, intrisa di una carica autoironica e demenziale unica. Manfredi, utilizzando il linguaggio semplice e "canonizzato" dei cantautori, era riuscito in pochi e divertentissimi minuti a sferrare un attacco politico alle liturgie radical chic della sinistra intellettuale e istituzionale, sfoggiando un insolito garbo e una sfrontatezza deliziosa, figlia del Movimento del 77. E infatti quel brano - come ho scoperto diversi anni più tardi - era contenuto nel bellissimo disco del 1976 "Ma non è una malattia": un album pieno di pezzi stupendi, scritti con uno stile, una leggerezza, ma anche una ferocia satirica senza eguali. Da ragazzino l'unico Manfredi che conoscevo era l'attore romano di "Brutti, sporchi e cattivi" che molti della mia generazione chiamavano semplicemente "il tizio della pubblicità della Lavazza" (visto che all'epoca quello spot imperversava tra un cartone animato e l'altro). Ma quello era Nino Manfredi; di Gianfranco, nei primi Anni Novanta, era davvero difficile trovare qualche notizia, soprattutto per un bambino un po' fessacchiotto com'ero io a quei tempi (e come probabilmente sono rimasto). Comunque, quel pezzo molto politico ma anche dannatamente ironico riuscì a sconvolgere la mia piccola esistenza di dodicenne a caccia di qualcosa, che all'epoca, non riuscivo ancora a trovare. E insieme ad alcune canzoni di Finardi, come "Musica ribelle" (ascoltata ancora una volta sull'Italia del Rock), preparò il terreno - magari involontariamente - a una rivoluzione personale "iniziata dentro casa" (anzi in cameretta) e carburata qualche anno dopo dall'ascolto compulsivo di Sex Pistols, Clash, Ramones e Green Day. Ma di questo già ho parlato un sacco di volte e sto cominciando ad annoiarmi persino io. Tornando invece a Manfredi, nel corso degli anni, ho scoperto che, seppur con risvolti personali assai diversi, molti altri miei coetanei erano rimasti folgorati da quel brano o da altri del cantautore milanese e, ancora adesso, con Fabrizio, quando ci mettiamo a recitarlo a memoria come un mantra ("e tu te legg'Agatha Crishhhte co' Totonne poro' cristhhhe") prima ci scompisciamo dalle risate e poi ci assale la malinconia.

Tutto questa lunga premessa per dirvi che domani, mercoledì 8 novembre, intorno alle 20,30 all'Aut Aut di via delle Fontane arriva proprio Gianfranco Manfredi, che nel frattempo, negli ultimi 40 anni, oltre al cantautore ha fatto lo sceneggiatore, lo scrittore e il fumettista (che è forse la sua attuale occupazione più importante). L'occasione della sua visita è la presentazione del suo ultimo e importantissimo libro "Ma chi ha detto che non c'è" (appena pubblicato per Agenzia X), che parla proprio del 1977. Insieme a Manfredi ci sarà anche Marco Philopat, di cui ho già parlato su questo blog e che dirige la casa editrice milanese che ha fortemente voluto questo volume. Non ne so molto di "Ma chi ha detto che non c'è", devo essere sincero, perché alla fine ho deciso di comprarlo proprio alla presentazione di domani. Però le promesse sono pazzesche (il libro si intitola come una canzone bellissima, commovente e poetica - ma anche ironica - contenuta proprio in quel "Ma non è una malattia" di cui parlavo poco fa e che non sono ancora riuscito a procurarmi). Se non fosse abbastanza chiara tutta l'enfasi che sto mettendo in questo post: quello di domani all'Aut Aut è uno degli appuntamenti dell'anno. Per me sarà l'occasione per ascoltare due miei eroi della controcultura ma anche dell'adolescenza. E, detto tra noi, sono già in pieno sbattimento.


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