domenica 24 giugno 2012

Il mio Universo

Ci sono poche canzoni capaci di commuovermi. Non perché sia un duro, anzi. Però è difficile vedermi piangere. E negli ultimi dieci anni è successo davvero raramente. Ogni volta che ascolto "Universo", però, un pezzo dei Ritmo Tribale contenuto in un loro disco di metà anni Novanta, qualcosa dentro di me comincia a muoversi. Ed è sempre stato così, sin dalla prima volta che mi sono imbattuto in questo brano. Mi è succeso anche stamattina mentre risentivo il pezzo su youtube, perché fisicamente l'album non ce l'ho (sì lo so sono un coglione). Ma forse c'entra anche il fatto che ieri sera, finalmente, dopo tre anni di attesa, ho visto Edda, l'ex cantante della band, suonare dal vivo. Me l'ero perso già due volte, da quando, nel 2009, un po' in sordina, era tornato a scrivere musica dopo 13 anni di silenzio, droga, comunità e ponteggi. La prima volta l'ho sfiorato per pochi minuti, aveva iniziato prestissimo, di spalla agli Afterhours. Il concerto era partito alle otto e mezza e finito alle nove perché il giorno dopo Edda doveva alzarsi alle cinque di mattina per andare a lavorare. La seconda volta, pochi mesi fa: mentre andavo alla Claque a sentirlo mi si è bucata una gomma e vista la mia manualità è stato un delirio. Insomma sembrava una maledizione. E anche ieri, per qualche istante, ho temuto di non farcela. Poi però, nonostante il lavoro e i casini, sono riuscito ad arrivare in tempo: ho comprato a scatola chiusa i dischi al banchetto (prima di sentirlo su cd volevo avere la prova live e mi sono tenuto tutto questo tempo lontano dai suoi lavori) e mi sono piazzato davanti al palco del Festival delle Periferie insieme a pochi altri eletti. Edda è un tipo schivo, timido e geniale. Ha parlato poco e quando l'ha fatto sembrava emozionato come un bambino. Proprio lui, cazzo, che ha fatto la storia del rock italiano. I pezzi erano sconnessi, folli: sembrava un cantautore nero. Usava la voce come uno strumento e come contorno aveva un tappetto di musica elettrica fatta di due chitarre e un basso. Una struttura essenziale e dissonante, al servizio di testi incasinati e bellissimi. Come se qualcuno volesse costruire la felicità usando la sofferenza. Era incredibile. Mai sentito nulla di più intenso e bastardo. Molti l'hanno snobbato, qualcuno gli ha concesso la sua attenzone per quello che aveva fatto coi Ritmo Tribale in passato. Io invece sono rimasto pietrifcato di fronte a tanta bellezza. Fare due chiacchiere con lui, come mi è capitato a fine concerto insieme a Roby, Fabry e Giulio, è stato frustrante e divertente allo stesso tempo. Nel senso che Edda ha una propensione a sminuire il proprio lavoro che è quasi imbarazzante. E' una persona buona, che ha fatto degli errori (ricaduti esclusivamente su se stesso) dei quali continua a portare il fardello. E' come se chiedesse sempre scusa e "permesso". Mentre io avevo solo voglia di abbracciarlo e stringergli la mano. Anche perché oltre ai complimenti per il concerto, avrei tanto voluto parlargli di queste lacrime che contnua a farmi scendere quando ascolto "Universo". Questo magone, misto a una gioia immensa che arriva ogni volta che sento la strofa correre verso il ritornello. C'è una frase in particolare che mi fa venire la pelle d'oca, sin da quando ho sentito questa canzone per la prima volta a 14 anni, nel 1996, grazie a una compilaiton su cassetta che mi aveva comprato mio padre alla fine della terza media. "Hai avuto tutto, io invece no. A me non sembra giusto: giuro che mi vendicherò". Da 16 anni mi identifico totalmte in quei versi. Nella prima parte che descrive alla perfezione la mia frustrazione proletaria nei confronti della vita e degli altri e poi nella seconda, quando arriva la reazione cattiva e redentrice, una manciata di parole che da ragazzino mi hanno aperto un mondo. Lo so che a qualcuno potrebbero apparire un mucchio di stronzate infilate una dopo l'altra, ma ricordo perfettamente che quando a 14anni cantavo "Universo" davanti allo specchio, dopo averla sentita a ripetizione tutto il giorno, iniziavo la strofa con una voce sommessa per poi esplodere in un sorriso bastardo. Era la declinazione al futuro della mia voglia di rivincita sulla vita. E ancora oggi è così. "Universo", e forse solo adesso me ne rendo conto, è stata la canzone che mi ha educato al punk.

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