mercoledì 11 ottobre 2017

I pirati dei Navigli - Il nuovo libro di Marco Philopat

Ogni volta che esce un nuovo libro di Marco Philopat vado in sbattimento. Perché è grazie a una lettura illuminante come "Costretti a sanguinare" (il suo esordio) se ho preso coscienza del punk italiano degli Anni Ottanta e se mi sono reso conto che la musica che tanto amavo e che mi aveva cambiato la vita non era fatta soltanto di stupide canzonette suonate a mille all'ora, ma era una vera e propria sottocultura (o controcultura), con radici forti e robuste anche in una periferia dell'impero come l'Italia. Volendo semplificare: "Costretti a sanguinare" - che non ho letto nel 1997 ma a cavallo tra '98 e '99 - è stato a tutti gli effetti il mio primo manuale di educazione "politica" al punk, inteso come "strategia di guerra", tanto per citare il Luca Frazzi delle mitiche "Guide pratiche di Rumore"; una "lettura maledetta" grazie alla quale mi sono infilato in tunnel di rumore assordante (la prima volta che ho sentito parlare dei Wretched e della prima scena hc italiana è stata in quelle pagine) e di movimenti di occupazione e autogestione, slegati e alternativi e quelli classici della sinistra extraparlamentare e post-sessantottina, seppur non così antitetici (ok la pianto che altrimenti sembro Folagra...). Insomma quel libro per me resta un totem assoluto, su cui sono tornato spesso nel corso degli anni e che considero l'apripista di una lunga e fortunata serie di volumi sul punk e l'hardcore italiani che continua ancora oggi. E così, quando ho saputo che, dopo vent'anni, Philopat avrebbe ripreso il filo del discorso che si era interrotto con lo sgombero del Virus, raccontando il "seguito" di quella vicenda sono corso in libreria e mi sono buttato a capofitto nella lettura de "I pirati dei Navigli".

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Prima di proseguire a parlare del libro, però, visto che di solito mi piace farla lunga e contorta, vorrei fare ancora qualche considerazione preliminare, che naturalmente consiglio a tutti di saltare a piè pari. Per gli amanti del masochismo invece ecco due o tre osservazioni in libertà. Innanzitutto mi sembra molto interessante che Philopat abbia deciso di continuare a raccontare la sua storia, da dove si era fermato "Costretti a sanguinare", dopo anni di lavori che l'avevano portato - narrativamente parlando - quasi sempre altrove: e cioè lungo un percorso a ritroso nella storia dei movimenti milanesi ("La banda Bellini" e "I viaggi di Mel", che compongono insieme all'esordio una splendida trilogia) e poi a confrontarsi con veri e propri romanzi di fiction (anche se intrisi di sottocultura) come "Roma k.o." e "Rumble bee", entrambi scritti insieme al Duka. Certo, Philopat era tornato a  parlare del punk italiano con "Lumi di punk" del 2006, ma quella era più un'antologia di testimonianze dirette dei protagonisti dell'hc di casa nostra e rappresentava quasi un compendio - fondamentale e assolutamente da leggere - a "Costretti a sanguinare". L'ultimo considerazione che vi voglio sottoporre riguarda, infine, la casa editrice che ha pubblicato "I pirati dei Navigli": Bompiani e non Agenzia X, fondata e diretta dallo stesso Philopat dopo aver lasciato Shake una decina di anni fa. Una scelta interessante e azzeccata, perché porta a un pubblico più ampio una storia che un tempo si sarebbe considerata di nicchia. Anche se ormai i libri, purtroppo, sono un fatto di nicchia di per sé, indipendentemente da chi li pubblica.

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Venendo invece a "I pirati dei Navigli", in queste 300 pagine Philopat racconta il periodo storico per certi versi meno epico (forse perché di transizione) della controcultura milanese: i "pieni" Anni Ottanta, quelli di Craxi, Pillitteri, dell'edonismo, della Milano da bere e del riflusso; anni lontanissimi dal '68, ma anche dal Movimento del '77 e nel corso dei quali certe dinamiche e pratiche del passato venivano messe in discussione non per innovarle - com'era accaduto fino a poco tempo prima - ma per reprimerle. Certo, per chi riesce ad andare un po' al di là delle apparenze - e questo libro aiuta molto a farlo - gli Anni Ottanta italiani e milanesi furano, per fortuna, anche tanto altro, visto che misero le basi delle contaminazioni future e dei movimenti del decennio successivo che portarono avanti le lotte contro la globalizzazione e utilizzarono per la prima volta uno strumento all'epoca pionieristico e oggi fulcro delle nostre vite: Internet. In mezzo a tutto questo Philopat infila la sua vicenda personale, che è anzi il motore propulsore di un libro, che risulta assai meno "politico" e più "confidenziale" di quelli precedenti. Ne "I pirati dei Navigli" l'autore, raccontando se stesso, ricostruisce una storia comune dell'underground milanese, in uno dei momenti più difficili per quel movimento, anche se non mancarono - e da queste pagine lo si capisce bene - tanta fantasia, situazioni interessanti e grandi intuizioni. L'Helter Skelter - il "clubbino" post-punk del Leoncavallo -, l'occupazione di Conchetta, il ruolo della Calusca, i primi vagiti della rivista "Decoder" e della cooperativa Shake: tutto viene visto e filtrato attraverso gli occhiali spessi di Philopat e mescolato alle sue paranoie, al suo rapporto con la famiglia e con gli ex virusiani, alle sue storie sentimentali e alle nuove e in alcuni casi "strane" amicizie che stringe nel corso del tempo. Si parla di punk, naturalmente, anche se molto meno rispetto ai tempi di "Costretti a sanguinare". Mentre un personaggio chiave resta Primo Moroni, una sorta di mentore e padre politico-culturale per Philopat e per tutto il movimento milanese che arrivava dal punk e da via Correggio. Per farla breve "I pirati dei Navigli" è un libro assolutamente fondamentale e necessario, che aggiunge un tassello importante nella storia della controcultura italiana, raccontando una vicenda umana e politica che prima di oggi nessuno aveva messo nero su bianco. Un volume complementare, tra l'altro, a una pubblicazione uscita in questi mesi proprio per Agenzia X, "Fame", la storia romanzata dell'omonima fanzine realizzata dalla "creature simili" di cui lo stesso Philopat parla in "Costretti a sanguinare" e ne "I pirati dei Navigli". Insomma tanti pezzi di un unico puzzle sulle controculture, per raccontare la storia dei movimenti italiani direttamente dall'interno.




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