lunedì 20 novembre 2017

Un weekend da leoni (e un lunedì da...): quella volta che in tre giorni ho visto i Dictators e i M.o.t.o. a due passi da casa

Ok non scrivo da un po' e bla bla bla, ma sono stato parecchio incasinato. Sono giorni pieni di cose interessanti (concerti, spettacoli teatrali ecc) e prometto che se riesco a uscire vivo da questo mese di novembre mi metto a ballare la Giga. Prima però devo sopravvivere alla doppietta del prossimo weekend: la presentazione del libro "La storia del punk" di Gilardino (di cui ho già parlato da queste parti) con tanto di concerto dei Ramoni (venerdì all'Altrove, a partire dalle 21, puntualissimi, davvero) e la serata organizzata sabato allo Zapata da Robertino con Dalton (cioè avete capito bene? Dalton!!!), Klasse Kriminale, Leisfa e Mad Beat. Lo scorso fine settimana però mi sono spaccato altri due concerti della vita: i Dictators (che ora sono costretti a farsi chiamare Manitoba NYC) al Raindogs e i M.o.t.o. al Little Italy. Ed è proprio di questi due mega eventi che voglio parlare. Partiamo dai cinque arzilli vecchietti di New York che, fuori da ogni pronostico, se la sono cavata alla grande. Oltre ai due fondatori Handsome Dick Manitoba - che ha il nome più bello di sempre - e Ross “The Boss” Friedman - che ha fondato anche i Manowar: uno dei miei incubi adolescenziali - sul palco c'erano Daniel Ray (che ha prodotto qualche album dei Ramones) e altri due anziani da competizione come JP "Thunderbolt" Patterson alla batteria e Dean "The Dream" Rispler al basso. Come detto le aspettative non erano altissime, ma al di là di una certa mollezza di alcuni pezzi - che però erano molli anche nel 1975 - il concerto è stato una piccola rivelazione. In apertura hanno suonato i Leeches, che sono sempre un bel sentire, con il loro mix di rock'n'roll grasso e sporco, quel tocco beach-punk che non guasta mai e un bell'assortimento di storie incredibili a base di assalti notturni al frigorifero e proclami anti-sportivi. I Dictators - non fatemeli chiamare Manitoba, visto che pure a loro sto moniker sta piuttosto stretto - sono saliti sul palco conciati come dei tamarri di New York che avevano dormito con tutti i vestiti addosso. Tanto per fare un esempio Handsome Dick, per tutto il concerto, ha tenuto in testa un cappello di lana con la scritta sbrillucciocosa Bronx e si è presentato con due camicie, una più improbabile dell'altra. Ma questioni di stile a parte la band ha dato davvero tutto, suonando una hit dietro l'altra e tenendo il palco con passione, senza abbandonarsi a stupide pose da leggende del rock. Manitoba se la chiacchierava allegramente col pubblico, raccontando aneddoti e provando a parlare malamente in italiano, visto che il suo vocabolario consisteva in tre magiche parole: "mamma", "cucina" e "pizza". Ross The Boss, che non si è lasciato andare a tentazioni metallare, ha messo la sua tecnica al servizio del rock'n'roll e si è limitato a sfoggiare un sorriso sornione per tutto il concerto, mostrando a più riprese i suoi tatuaggi da antologia (uno per tutti il campo da baseball che ricopre il suo bicipite destro). Insomma tanto cuore e una scaletta da lacrime, eseguita alla perfezione. I Dictators avranno pure una certa età e delle mise imbarazzanti, ma sono una delle band più genuine che abbia mai visto dal vivo. Lunga vita ad Handsome Dick e alla sua cricca di vecchietti terribili. E a proposito di anziani non è che Paul Caporino dei M.o.t.o. sia tanto più giovane dei Dictators. Anzi, Franz sostiene che dovrebbe avere più o meno 60 anni. E diciamo che così di primo acchito li dimostra tutti. Quando suona però è una furia inarrestabile. E domenica al Little Italy hanno dovuto fermarlo a forza, perché altrimenti sarebbe andato avanti a suonare tutta la notte (anche dopo che il resto della band aveva posato gli strumenti a terra). Nel giro di un'ora abbondante questo scalcinato terzetto di garage supermelodico è riuscito a farmi palpitare il cuore come non mi succedeva da un po' di tempo. Prima dei M.o.t.o. a scaldare il pubblico (piuttosto numeroso) ci hanno pensato i Goonies, che sono una delle mie band preferite. Ok, li conosco da una vita e sono quel tipo di amici che immagini che frequenterai anche quando sarai un vecchio rincoglionito che passerà le giornate a guardare i lavori in corso; però dai, come si fa a non amare il loro pop-punk in italiano deliziosamente anacronistico? Citando il titolo del loro penultimo disco: i Goonies suonano ancora Anni Novanta e lo fanno senza troppe menate e con una classe innata. Al concerto di spalla ai M.o.t.o. hanno presentato pure il loro ultimo disco, "Connessi e soli", ma - come accade ai veri loser - avevano pochissime copie da vendere, a causa di alcuni casini con la stampa del cd. Io un disco me la sono agguantato e vi consiglio di fare lo stesso, facendo un passo da Flamingo nei prossimi giorni. Il bilancio del loro concerto è stato: mezzora di ignoranza a velocità supersonica. Una delle mie band del cuore, ma forse l'ho già detto. I M.o.t.o., inutile dirlo, sono stati uno spettacolo assoluto. Paul si è fatto fuori mezzo bar e ha continuato a ciucciare, per tutta l'esibizione, una bottiglia di whisky, brindando con il pubblico in delirio e a due centimetri dal suo microfono. "I hate my fucking job", "Gonna get drunk tonight", "Dance dance dance dance to the radio" e "Crystallize my penis" hanno scatenato il delirio. La mia acufene deve aver superato i livelli di guardia, ma ne è valsa decisamente la pena. Certo, se siete dei puristi della pulizia sonora e del rock più classico e tecnico, le mitragliate punk di Caporino e soci potrebbero farvi letteralmente inorridire. Ma se invece amate la buona musica e cioè quella più sporca e veloce e se andati pazzi per le melodie rumorose e i pezzi sotto i due minuti, allora i M.o.t.o. potrebbero essere il vostro gruppo della vita. Quello che mi fa impazzire di Paul Caporino - che è stato davvero incredibile, l'altra sera - è anche la sua inesauribile vena melodica. Perché sotto quegli strati di chitarre minimali e sferraglianti, il nostro riesce, da oltre 30 anni, a scrivere pezzi stupendi e appiccicosi che ti si piantano in testa sin dal primo ascolto. A volte si ha la sensazione di conoscerli da sempre quei brani scalcinati e zuccherosi. Eppure c'è voluta la lungimiranza di Matteino perché, qualche anno fa, scoprissi questa band sotterranea e incredibile. Un culto totale per pochi eletti. Vederli a Genova, in una saletta minuscola al piano interrato di un bar (sia lode ai ragazzi del Little Italy e ad Alberto per aver organizzato questo concerto) è stato come sbronzarsi per la prima volta di gin tonic. Torni a casa col sorriso sulle labbra e ti svegli devastato come ai bei tempi.

Nessun commento:

Posta un commento