venerdì 2 novembre 2018

Un po' di recensioni a babbo 9/Tre giovani teppisti e Bobby Solo

Torno alle buone abitudini con il solito giro di recensioni a babbo, grazie a due succosi pacchi arrivati qualche giorno fa nella cassetta della posta. Uno da Luca Tanzini della Buba Records e l'altro da Tiziano Rimotti per Area Pirata. Un sacco di roba fighissima, di cui andrò testé a parlavi.


PUNK XEROX - BROKEN

La Bubca Records di Luca Tanzini (se non lo conoscete vuol dire che la vostra coscienza punk-hc he bhé ma è proprio scarsa, per citare il poeta) è una delle ultime etichette realmente punk in circolazione. Lo è per la sua etica, certo, ma anche per la sua estetica e naturalmente per la musica che produce. Dischi quasi sempre stampati in cdr o in cassetta, con inserti fatti a mano, infilati in buste trasparenti piene zeppe di "pizzini", adesivi e disegni a pennarello dalla punta grossa. Dischi apparentemente di fortuna, che invece, nel loro essere spartani ma al tempo stesso curatissimi, rappresentano pezzi unici ma accessibili a tutte le tasche (5 euro, riga'). Come se, per una volta, sovvertendo i postulati di Walter Benjamin, l'opera d'arte fosse tale proprio per la sua riproducibilità. E questo è molto punk. Se poi passiamo all'ascolto - lasciando perdere tutte le pippe mentali che vi ho rifilato fino a questo momento - e piazziamo nel lettore cd "Broken" di Punk Xerox, uno degli ultimi folli progetti di Luca, la faccenda si fa ancora più ingarbugliata. E dannatamente pesa. Perché Punx Xerox - che non sto manco a dirvi chi cita perché altrimenti volano pattoni - è un progetto stortissimo e lisergico, che mescola improvvisazioni rumoriste a manipolazioni cosmiche e assomiglia alla colonna sonora di un film di fantascienza. L'album è articolato in sei pezzi piuttosto lunghi: quasi tutti intorno ai 4-5 minuti, tranne l'ultimo, "Agenzia viaggia interplanetaria", che supera i 9. Sei brani che estremizzano al massimo le ossessioni musicali di Luca - da Tabula Rasa ai Centauri - costruendo un nuovo linguaggio robotico e metallico, dove gli strumenti si mischiano e ci si arrangia a suonare quello che si trova. "Punk Xerox", la title track che apre il disco, per esempio, è un assortimento di rumori infernali che sembra uscito da una b side dei Suicide registrata in un altoforno, mentre "Il grigio" - al di là dei soliti titoli strepitosi, tipo il terzo pezzo che si chiama "Diploma, l'album è tutto strumentale - è un'improvvisazione noise-cosmica, costruita su una chitarra minimale e da coito interrotto. Il già citato "Diploma" è un pezzo distensivo, basato su dei riff di chitarra ripetuti ossessivamente, in una sorta di crescendo. "Rain in my brain", invece, è una sorta di sonorizzazione in bassa frequenza che ci prepara al viaggio intorno al sistema solare dell'ultimo pezzo. Ma prima c'è "Broken Xerox Machine", una brano bellissimo tra surf, manipolazioni, rumori e sonde spaziali impazzite (mentre lo ascoltavo mia moglie, che era in un'altra stanza, mi ha chiesto cosa fosse tutto quel casino, temendo che la tv stesse dando in numeri). E poi eccoci al gran finale di "Agenda di viaggi interplanetaria": una lunga suite psichedelica, composta per astronauti degenerati. Insomma "Broken" è un disco pieno di sorprese, ma al tempo stesso difficile. Un album minimale, ma dai suoni stratificati e vari, tra punk sintetico e sonorizzazioni. E' tutto suonato in analogico  e registrato in casa, raccogliendo frammenti sonori sparsi nel giro di quasi tre anni, tra il 2016 e il 2018. Punk Xerox  è il suono punk del futuro distopico nel quale si sta tramutando il nostro presente.

RAWWAR - FIGHTING FOR LOVE
Escono sempre su Bubca Records e vedono ancora una volta protagonista il grande Luca Tanzini i Rawwar. Anche in questo caso siamo di fronte  a un cdr (che credo sia uscito anche in cassetta), con busta di plastica sottile e inserti fatti a mano e fotocopiati. "Fighting for love", questo il nome dell'album, è un ep di tre pezzi in dieci minuti secchi di garage lo-fi, in cui chitarre e tastiere si mescolano a una voce impastata e lontana, registrata dentro una coppa del cesso con un megafono. Tre perle melodiche che ricordano, in parte, i primi lavori del Trio Banana, ma che qui mettono in evidenza una vena pop - seppur orticante - davvero inaspettata. Oltre a Luca (voce e chitarra), la band vede schierati anche The Doctor / Il Dottore alla batteria e Gianlorenzo Nardi alle tastiere e ai rumori vari. Un bel calcio nel culo fresco fresco  - visto che è appena uscito - registrato il 25 aprile scorso in presa diretta a Tor Pignattara. I 5 minuti della title track sapranno perseguitarvi con le loro urla lancinanti e la loro melodia monotona per almeno 7-8 minuti.

THE CHATS - s/t
Non ringrazierò mai abbastanza Luca e la Bubca Records per aver pubblicato in cdr uno dei migliori gruppi punk contemporanei: i Chats, tre degenerati australiani appena maggiorenni (forse), che hanno all'attivo tre ep e, al momento, nessun album vero e proprio. Luca, appena li ha sentiti, ne è rimasto folgorato - così come molte altre persone fuori dall'Italia - e visti anche i prezzi assurdi con cui viaggiano i primi due singoli della band (il secondo e più interessante parte da una base di 40 euro su Discogs e sale fino a 200, vabbè), ha deciso di raccoglierli entrambi in un cd fiammeggiante fatto, come al solito, in casa, che potrà essere vostro per soli 5 miseri euro. Badate bene: al prezzo di una birra media vi accaparrerete uno dei dischi dell'anno. Perché se da noi i ragazzini se la stanno a menare tutto il giorno con la trap e i telefonini, questi imberbi australiani riescono a tirare fuori un rock'n'roll talmente basico, primitivo e maleducato da farti letteralmente commuovere. Ho sempre pensato di ascoltare musica per anziani e pensionati, ma gentaglia come i Chats mi fa ben sperare nelle nuove generazioni (che, a parte pochi e selezionatissimi casi, mi fanno ribrezzo, essendo un vecchio malmostoso trentaseienne). Il disco conta quindici pezzi in 30 minuti, con una voce sbracata che sbraita stronzate e proposito di birra, serate ignoranti e altre tematiche di alto spessore culturale, una chitarra asinina che suona quasi sempre lo stesso riff e una sezione ritmica talmente stazza e incerta da farti gridare al miracolo. Il tutto condito con melodie pop irresistibili. Finalmente un gruppo di giovani teppisti, che suona musica di merda. E lo dico nel senso migliore del termine, visto che al loro confronto anche i Cavemen sembrano dei professori di Oxford. Questo è il punk, signora mia. Questa è una delle poche luci accese in un universo di musica tremendamente bolsa e inutile. I Chats, cari fessacchiotti, sono il vostro biglietto per il paradiso della birra a basso costo. Speriamo non si rovinino crescendo. O forse sì.

BARMUDAS - ROCK THE BARMUDAS
Passando invece al ricco pacco targato Area Pirata, non mi stancherò mai di ripetere quanto Tiziano e Jacopo siano oggi due figure fondamentali per lo sviluppo e la promozione della scena underground italiana. Questi due toscanacci dal cuore d'oro non solo, da quasi vent'anni, recuperano perle nascoste e storici gruppi del nostro passato beat, punk e hardcore, ma sfornano anche progetti nuovi di zecca di altissimo livello. Uno di questi è senza dubbio il singolo d'esordio dei Barmudas, band in giro da appena un anno e formata da alcuni veterani dell'attuale scena punk sotterranea fiorentina. Punk, ma con la passione per il glam, come ci hanno insegnato i Giuda, illustri precursori di questo curioso e splendido revival. Ma se la band romana è più spostata sul versante rok'n'roll e guarda, seppur con mostrando una certa personalità, agli Slade e ai Bay City Rollers, i Barmudas, sono leggermente meno scalmanati e più pop. Detto questo l'unica pecca dei due pezzi contenuta in questo singolo dal titolo "Rock the Barmudas" è che si tratti, appunto, di appena due pezzi. Perché dopo aver sentito il ritmo contagioso dalla title track e del lato b "Zaira" - un po' più esotica ma sempre in palla - viene una voglia matta di ascoltare un album per intero. Anzi, Tiziano e Jacopo: promettetemi di stare dietro ai ragazzi e giurate che li obbligherete a scrivere un lp di almeno 10 pezzi. Perché ormai questi due li conosco a memoria.

THE THINGLERS - s/t
Sono al loro esordio su singolo, ma non sono certo dei novellini i Thinglers, di cui Area Pirata ha pubblicato il singolo omonimo. Quattro pezzi di garage sixties immediato e suonato a rotta di collo dalla band di Pordenone, nata dalle ceneri degli storici Seuss. Il primo lato dal singolo mette in fila "Hangin' out" (cover dei Blox) e l'originale "Leave me alone": due brani che ci riportano immediatamente ai beai tempi del revival garage di metà Anni Ottanta, fra Sick Rose e Miracle Workers. Il menù non cambia di una virgola neppure con "Come on" degli Atlantics e l'altro brano originale "Without you", sul secondo lato. Beat suonato a manetta e imbastardito dal punk, soprattutto nei due pezzi a firma della band di Pordenone. Le melodie degli Anni Sessanta incontrano la furia degli Anni Settata-Ottanta: un mix perfetto che magari non aggiunge molto alla lezione impartita da raccolte come "Pebbles" e "Back from the grave", ma di cui è davvero difficile stancarsi. Anche in questo caso attendo con ansia un disco sulla lunga distanza, anche perché i due pezzi originali, con quel pizzico di furia in più rispetto alle cover, sembrano scritti appositamente per me.  

BROADCASH FEAT. BOBBY SOLO - BROADCASH PLAYS CASH FEATURING BOBBY SOLO
Chi se lo sarebbe immaginato che sarei finito ad ascoltare un disco di Bobby Solo? E soprattutto che, a pubblicarlo, sarebbe stata Area Pirata? Eppure è proprio ciò che è successo con "Broadcash play Cash featuring Bobby Solo", un agile 10'' con quattro pezzi di Johnny Cash suonati da una della cover band italiane per eccellenza del bandito del country rock americano (gli ottimi Broadcash, appunto) e cantate dalla voce inconfondibile di Bobby, eroe dei miei nonni e persino di qualche mi vecchia zia. Non se ne abbia a male Roberto Satti, vero nome del mitico autore - in coppia con Mogol - di "Una lacrima sul viso", perché al di là delle battute e della vulgata televisiva che lo dipinge sempre con un vecchio eroe nazional popolare, conosco da tempo le sue passioni musicali "alte". Qualche anno fa, per esempio, quando lavoravo al "Corriere Mercantile" mi è capitato di parlare di un rassegna jazz nell'entroterra genovese e di scoprire che insieme ai vari ospiti blasonati d'oltre oceano c'era anche lui: Bobby Solo. Un tipo eclettico e magenticamente simpatico, uno che il rock'n'roll non solo lo ama, ma lo ha anche vissuto in prima persona al momento giusto. E infatti si sente: quando canta con la sua voce grossa e pulita i 4 pezzi di Johnny Cash scelti per questo tributo, "Cry cry cry", "I walk the line", "Big river" e "Folsom Prison blues" (quattro capolavori assoluti del "maestro") si resta letteralmente ipnotizzati dalla magia che si sprigiona. Bobby, tra l'altro, è uno che Cash l'ha conosciuto personalmente negli anni Sessanta alla base americana di Rammstein in Germania. Quindi quale modo migliore per festeggiare il mezzo secolo di "Live at Folson Prison" se non regalarci questo disco di assoluta eleganza? Una piccola perla che dovremmo regalare in massa a chi si occupa dei palinsesti televisivi e si ostina a far cantare a Bobby sempre e solo le solite robe. Per carità, sono pezzi che hanno fatto la storia della musica italiana. Però quanto il nostro si cimenta col rock'n'roll o quando veste i panni di Johnny Cash anche la sciura davanti alla televisione rischia di andare in brodo di giuggiole.


2 commenti:

  1. Ciao Diego, ma dove si trovano (o si possono sentire) queste rarità? Grazie

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  2. Ciao Franco, sxusa ho letto solo ora. Sì si trovava, quale ti ijtiresin che ti giro il link?

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