Avevo 9 anni e facevo la quarta
elementare quando ho comprato il mio primo "Akira" dal
giornalaio sotto casa. Era il numero 21 - edizione Glénat Italia - e
si intitolava "La rabbia e il tormento": una manciata di
parole che già così - senza neppure sfogliare le pagine dell'albo -
mi avevano piacevolmente inquietato. E anche se "Akira" di
Katsuhiro Otomo non è mai stato un "fumetto"
particolarmente violento e angosciante, devo ammettere che, quel
numero in particolare, era una roba assolutamente clamorosa per un
pivello delle elementari. C'era Testuo che smadonnava perché era in
crisi d'astinenza, c'erano montagne di pillole colorate che
comparivano da una pagine all'altra come caramelle e verso le fine
del numero una banda di pazzi entrava nel convento di Lady Miyako e
faceva a brandelli i poveri monaci che lo presidiavano. Come direbbe
il poeta: ettolitri di sangue. Tanto che i miei genitori avevano
pensato di requisirmi quel piccolo tesoro e fargli fare la fine del
primo numero della rivista "Zero" che avevo comprato a 6
anni sull'entusiasmo di Ken il guerriero: e cioè buttarlo nella
spazzatura, dopo la spiata del solerte papà di un compagno di
scuola. Vabbè, robe da chiodi.
Ma torniamo ad "Akira": da
quel momento, direi approssimativamente dall'inverno del 92, la mia
vita è totalmente cambiata. L'incontro con i manga e soprattutto con
quel manga che ancora oggi venero e adoro mi ha sconquassato, e lo ha
fatto quanto e come il punk 5 anni dopo. Insomma: la scoperta di
"Akira" resta uno dei momenti più importanti e formativi
della mia miserabile esistenza. Tanto che, pur avendo una memoria
formidabile in quanto a brevità, ricordo quasi tutto di quei giorni.
Per esempio non dimenticherò mai quando, pochi mesi dopo quella
prima lettura maledetta, sul numero 23, è comparso l'annuncio che,
finalmente, anche nelle sale cinematografiche italiane, sarebbe
arrivato il "cartone animato" del capolavoro di Otomo. Dopo
mille insistenze ero riuscito a convincere mio padre a portarmelo a
vedere in un sonnacchioso pomeriggio di primavera e ricordo, come se
fosse ieri, che mi tremavano le gambe dall'emozione. La sala era
semivuota, a parte qualche nerd e una nonna coi nipotini che
probabilmente non aveva la più pallide idea di cosa avrebbe visto da
lì a poco. Inutile dire che per me si è trattato di un altro
pomeriggio cruciale e fondamentale, che ha contribuito a cambiare
ancora un po' la mia sfigatissima vita. Nel corso degli anni il mio
personalissimo culto nei confronti di "Akira" è sempre
rimasto vivo e fortissimo, tanto che oltre alla prima edizione a
colori del fumetto in 38 numeri (i primi 20 li ho recuperati tutti
insieme come unico regalo di Natale), possiedo anche i sei volumi in
bianco e nero della Planet Manga (sullo stile della versione
originale giapponese) che oggi campeggiano nella libreria del mio
salotto (fino a un paio d'anni fa avevo anche i 12 numeri in bianco e
nero usciti quando ero alle superiori ma li ho regalati a un amico,
perché altrimenti rischiavo il divorzio). Anche il film è stato
preda della mia ossessione collezionistica. Ho comprato la
videocassetta appena è uscita a metà Anni Novanta (al momento però
non so dirvi dove diavolo l'abbia infilata), mentre una quindicina di
anni fa mi sono procurato il doppio dvd, con gli inserti speciali.
Ciò che non ho mai avuto, almeno fino a ieri, è la colonna sonora
del cartone animato, che mi aveva colpito tantissimo sin da quella
prima visione al cinema. A 9 anni, però, non capivo nulla di musica
(e qualcuno potrebbe sostenere che da allora è cambiato molto poco).
Ma quei suoni ossessivi e claustrofobici, quelle melodie malate e
ansimanti che accompagnavano gli scontri in moto fra la banda di
Kaneda e i Clown di Joker oppure quelle cavalcate soniche durante la
trasformazione di Testuo hanno risuonato per anni nelle mie orecchie.
Qualche giorno fa leggendo sul sito
Fummettologica del un ritorno "Akira" al cinema (solo il 18
aprile, con un nuovo doppiaggio) mi sono chiesto se fosse possibile
trovare quella colonna sonora che avevo sempre desiderato ascoltare,
ma che poi, stupidamente, non avevo mai realmente comprato.
Spulciando un po' in rete ho scoperto che la musica del film di
"Akira" - pubblicata su cd o doppio vinile - è una sorta
di composizione unica divisa in tracce diverse, con motivi
ricorrenti. Ad averla scritta, suonata e incisa è il collettivo
Geinoh Yamashirogumi, che conta quasi un centinaio di musicisti ed è
stato fondato 1974 da un personaggio incredibile e fondamentale per
la musica d'avanguardia giapponese: Shoji Yamashiro, pseudonimo di
Tsutomu Ōhashi, che oltre a essere un compositore e un direttore
d'orchestra è anche un noto scienziato, che fonde musica e ricerca,
mescolando i suoni algidi dell'elettronica, con il folk e la musica
antica e tradizionale. Un vero e proprio alchimista, che Otomo ha
voluto con tutte le sue forza per musicare il film più importante
della sua carriera. Di questa colonna sonora esistono tre diverse
versioni, ma io ho preso banalmente quella più standard ed
economica. Ascoltarla in cuffia è un'esperienza incredibile, perché
si riesce a percepire la varietà di suoni che il collettivo Geinoh
Yamashirogumi è riuscito a infilare in queste composizioni così
stratificate e ipnotiche. E' una musica molto fisica e ossessiva
quella che esce fuori dalle dieci tracce del disco: ci sono suoni
liquidi e quasi impercettibili, come piccoli carillon che tintinnano
nel buio e poi lunghe suite a base di percussioni violentissime, che
squarciano il silenzio. Il disco si apre con "Kaneda", un
brano che per me vale l'intero album, grazie a quella melodia viscida
che ti si insinua subito nel cervello, per poi procedere con una
progressione sempre più angosciante e pronta a esplodere. Chiudo gli
occhi e mi sembra di vedere le immagini del film: le moto che
sfrigolano sulla tangenziale di Neo Tokyo, con le luci dei fari che
restano appiccicate alla strada e le insegne al neon dei negozi. Un
altro brano pazzesco è "Battle against clown", con quel
respiro ansiogeno e affannoso che sembra uscire direttamente da sotto
l'asfalto e che compone il tema principale della seconda traccia. La
chiusura del disco è affidata alla lunga suite "Requiem"
che rappresenta un po' la summa dell'intera composizione, con suoni e
temi che ritornano e si intrecciano fra loro, come una lunga
preghiera psichedelica a un Dio alieno che ci annienterà tutti.
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