venerdì 2 febbraio 2018

Akira - La colonna sonora della mia infanzia post-atomica

Avevo 9 anni e facevo la quarta elementare quando ho comprato il mio primo "Akira" dal giornalaio sotto casa. Era il numero 21 - edizione Glénat Italia - e si intitolava "La rabbia e il tormento": una manciata di parole che già così - senza neppure sfogliare le pagine dell'albo - mi avevano piacevolmente inquietato. E anche se "Akira" di Katsuhiro Otomo non è mai stato un "fumetto" particolarmente violento e angosciante, devo ammettere che, quel numero in particolare, era una roba assolutamente clamorosa per un pivello delle elementari. C'era Testuo che smadonnava perché era in crisi d'astinenza, c'erano montagne di pillole colorate che comparivano da una pagine all'altra come caramelle e verso le fine del numero una banda di pazzi entrava nel convento di Lady Miyako e faceva a brandelli i poveri monaci che lo presidiavano. Come direbbe il poeta: ettolitri di sangue. Tanto che i miei genitori avevano pensato di requisirmi quel piccolo tesoro e fargli fare la fine del primo numero della rivista "Zero" che avevo comprato a 6 anni sull'entusiasmo di Ken il guerriero: e cioè buttarlo nella spazzatura, dopo la spiata del solerte papà di un compagno di scuola. Vabbè, robe da chiodi.
Ma torniamo ad "Akira": da quel momento, direi approssimativamente dall'inverno del 92, la mia vita è totalmente cambiata. L'incontro con i manga e soprattutto con quel manga che ancora oggi venero e adoro mi ha sconquassato, e lo ha fatto quanto e come il punk 5 anni dopo. Insomma: la scoperta di "Akira" resta uno dei momenti più importanti e formativi della mia miserabile esistenza. Tanto che, pur avendo una memoria formidabile in quanto a brevità, ricordo quasi tutto di quei giorni. Per esempio non dimenticherò mai quando, pochi mesi dopo quella prima lettura maledetta, sul numero 23, è comparso l'annuncio che, finalmente, anche nelle sale cinematografiche italiane, sarebbe arrivato il "cartone animato" del capolavoro di Otomo. Dopo mille insistenze ero riuscito a convincere mio padre a portarmelo a vedere in un sonnacchioso pomeriggio di primavera e ricordo, come se fosse ieri, che mi tremavano le gambe dall'emozione. La sala era semivuota, a parte qualche nerd e una nonna coi nipotini che probabilmente non aveva la più pallide idea di cosa avrebbe visto da lì a poco. Inutile dire che per me si è trattato di un altro pomeriggio cruciale e fondamentale, che ha contribuito a cambiare ancora un po' la mia sfigatissima vita. Nel corso degli anni il mio personalissimo culto nei confronti di "Akira" è sempre rimasto vivo e fortissimo, tanto che oltre alla prima edizione a colori del fumetto in 38 numeri (i primi 20 li ho recuperati tutti insieme come unico regalo di Natale), possiedo anche i sei volumi in bianco e nero della Planet Manga (sullo stile della versione originale giapponese) che oggi campeggiano nella libreria del mio salotto (fino a un paio d'anni fa avevo anche i 12 numeri in bianco e nero usciti quando ero alle superiori ma li ho regalati a un amico, perché altrimenti rischiavo il divorzio). Anche il film è stato preda della mia ossessione collezionistica. Ho comprato la videocassetta appena è uscita a metà Anni Novanta (al momento però non so dirvi dove diavolo l'abbia infilata), mentre una quindicina di anni fa mi sono procurato il doppio dvd, con gli inserti speciali. Ciò che non ho mai avuto, almeno fino a ieri, è la colonna sonora del cartone animato, che mi aveva colpito tantissimo sin da quella prima visione al cinema. A 9 anni, però, non capivo nulla di musica (e qualcuno potrebbe sostenere che da allora è cambiato molto poco). Ma quei suoni ossessivi e claustrofobici, quelle melodie malate e ansimanti che accompagnavano gli scontri in moto fra la banda di Kaneda e i Clown di Joker oppure quelle cavalcate soniche durante la trasformazione di Testuo hanno risuonato per anni nelle mie orecchie.
Qualche giorno fa leggendo sul sito Fummettologica del un ritorno "Akira" al cinema (solo il 18 aprile, con un nuovo doppiaggio) mi sono chiesto se fosse possibile trovare quella colonna sonora che avevo sempre desiderato ascoltare, ma che poi, stupidamente, non avevo mai realmente comprato. Spulciando un po' in rete ho scoperto che la musica del film di "Akira" - pubblicata su cd o doppio vinile - è una sorta di composizione unica divisa in tracce diverse, con motivi ricorrenti. Ad averla scritta, suonata e incisa è il collettivo Geinoh Yamashirogumi, che conta quasi un centinaio di musicisti ed è stato fondato 1974 da un personaggio incredibile e fondamentale per la musica d'avanguardia giapponese: Shoji Yamashiro, pseudonimo di Tsutomu Ōhashi, che oltre a essere un compositore e un direttore d'orchestra è anche un noto scienziato, che fonde musica e ricerca, mescolando i suoni algidi dell'elettronica, con il folk e la musica antica e tradizionale. Un vero e proprio alchimista, che Otomo ha voluto con tutte le sue forza per musicare il film più importante della sua carriera. Di questa colonna sonora esistono tre diverse versioni, ma io ho preso banalmente quella più standard ed economica. Ascoltarla in cuffia è un'esperienza incredibile, perché si riesce a percepire la varietà di suoni che il collettivo Geinoh Yamashirogumi è riuscito a infilare in queste composizioni così stratificate e ipnotiche. E' una musica molto fisica e ossessiva quella che esce fuori dalle dieci tracce del disco: ci sono suoni liquidi e quasi impercettibili, come piccoli carillon che tintinnano nel buio e poi lunghe suite a base di percussioni violentissime, che squarciano il silenzio. Il disco si apre con "Kaneda", un brano che per me vale l'intero album, grazie a quella melodia viscida che ti si insinua subito nel cervello, per poi procedere con una progressione sempre più angosciante e pronta a esplodere. Chiudo gli occhi e mi sembra di vedere le immagini del film: le moto che sfrigolano sulla tangenziale di Neo Tokyo, con le luci dei fari che restano appiccicate alla strada e le insegne al neon dei negozi. Un altro brano pazzesco è "Battle against clown", con quel respiro ansiogeno e affannoso che sembra uscire direttamente da sotto l'asfalto e che compone il tema principale della seconda traccia. La chiusura del disco è affidata alla lunga suite "Requiem" che rappresenta un po' la summa dell'intera composizione, con suoni e temi che ritornano e si intrecciano fra loro, come una lunga preghiera psichedelica a un Dio alieno che ci annienterà tutti.








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