Con
un ritardo immenso ecco la seconda parte delle recensioni iniziate un
mesetto fa. Sono lento, lo so, ma prometto, come al solito, che d'ora
in poi mi darò una mossa. Anche perché vorrei scrivere un sacco di
altre fregnacce su questo blog scalcinato.
Franco
Zaio - Those important years
"Those
important years" di Franco Zaio è uno dei dischi più belli che
abbia ascoltato quest'anno. E non me ne importa niente che si tratti
un album di cover suonato da un mio amico fraterno, in cui canta (in
due pezzi) una carissima amica come Francesca Pongiluppi e che sia
stato registrato da un altro super amico come Berna. Non è colpa mia
se conosco gente speciale, che fa cose bellissime. Ciò che conta è
che ascoltando queste 14 rivisitazioni acustiche di altrettante
canzoni degli Husker Du - e cioè IL GRUPPO - la pelle d'oca sale
veloce lungo le braccia e il cuore corre in gola come una macchina
impazzita. E' davvero difficile capire se le emozioni fortissime che
questo disco è capace di sprigionare sin dal suo primo pezzo (la
maestosa "Standing in the rain") siano frutto dell'intesa
interpretazione di Franco o siano la naturale conseguenza del fatto
che gli Husker Du, in meno di dieci anni di vita artistica, siano
stati capaci di scrivere una miriade di pezzi incredibili. Forse,
come banalmente si dice in questi casi, sono vere entrambe le cose.
Anche se la chiave di volta del disco è innegabilmente la voce di
Zaio, più vicina alla dolcezza di Hart che all'irruenza di Mould, ma
comunque lontanissima da qualsiasi maldestro tentativo di imitazione.
"Those important years" è un tributo suonato - e
soprattutto cantato - col cuore, da un ragazzo di 50 anni a cui
"Warehouse" e "Zen Arcade" hanno letteralmente
cambiato la vita. E infatti la scaletta pesca a piene mani da questi
due dischi, ma anche da "New day rising" (con tanto di
omaggio in copertina), "Flip your Wig" e "Candy apple
gray": insomma gli Husker Du più melodici ed eccitanti, quelli
del periodo di mezzo e del glorioso epilogo su major. Ma anche quelli
capaci di erigere un muro di suono denso e psichedelico, che nella
versione di Franco Zaio torna, invece, alle origini scheletriche
voce-e-chitarra, senza perdere un briciolo di magia. Anzi, ascoltando
"Those important years" si capisce benissimo come molte di
questa canzoni siano nate, probabilmente, in questo modo: con Bob e
Grant che imbracciavano la loro sei corde e, dopo aver bevuto un paio
di lattine di birra del discount, buttavano giù una melodia e tre
accordi sghembi (Norton intanto si lisciava i baffi a manubrio e si
preparava un hamburger). Certo, nel disco ci sono anche arrangiamenti
più complessi come in "Green eyes", dove spunta la
chitarra psych-folk di Matteo Bocci dei Fenomeni e in "Book
about Ufos", uno dei pezzi più belli di questo tributo,
trasformato in una sorta di gospel indù, con tanto di sitar, suonato
in onore della dea Shiva appena atterrata da Marte. E poi ci sono
"Pink turns to blue" e "She's a woman (and now he is a
man)" cantante entrambe da Francesca Pongiluppi: la prima con
una voce dolorosa e in stato di grazia e l'altra in duetto con
Franco, in un crescendo potentissimo. E poi "These important
years" - uno dei miei pezzi preferiti degli Huskers - suonata
con meno irruenza rispetto all'originale, quasi come se si trattasse
di un'amara constatazione del presente, più che di una celebrazione
di ciò che è stato; e ancora: "Sorry somehow", altra
paela assoluta dell'album, con la voce di Franco che insegue la
chitarra o la furia disperata e sonica di "Something a learned
today". A chiudere il disco un brano giudicato a torto minore di
"Warehouse" come "Bed of nails", qui trasformato
in una cavalcata noise sporca e disturbante, grazie alla metal
machine guitar di Berna e alla voce distorta di Franco, pronta a
intonare l'apocalisse. Che dire? Se siete fan del Husker Du spero
vivamente che dopo appena due righe di questa stupida recensione
abbiate spento il pc o il telefonino e siate usciti di casa per
cercare di procurarvi questo album bellissimo. Tutti gli altri, e
cioè coloro che non sanno minimamente chi siano Mould, Hart e
Norton, si vergognino e chiedano umilmente scusa.
N.I.A.
Punx - N.I.A. Punx 1989-2019
Dopo
la sberla di ristampe sull'hc italiano anni Ottanta, che negli ultimi
15-16 anni ha fatto conoscere alle nuove generazioni (e anche alla
mia, che sta in mezzo tra i vecchi e i giovani) un po' di dischi fino
a quel momento introvabili a prezzi umani, pare sia (finalmente?)
arrivato il momento di riscoprire anche ciò che è successo
immediatamente dopo quella stagione incredibile. Parlo del periodo
che va dalla fine della scene hardcore (che collocherei intorno
all'88) e arriva giusto un attimo prima dell'esplosione del revival
punk di metà Novanta (1993-94 diciamo). Un momento storico
particolare e molto sperimentale dal punto di vista sonoro, con band
pronte a mescolare stili e generi diversi (punk, hc, ska e tanto
altro, a volte persino dentro un unico pezzo) nel nome del
"crossover" (quello vero, però, non la merda nu metal di
fine Novanta). Tra questi gruppi difficilmente classificabili c'erano
senza dubbio i N.I.A. Punx di Cosenza, dove N.I.A. sta per Nerds In
Acid, che dall'89 al 2005 (anche se la prima formazione si è sciolta
a metà Novanta) hanno rappresentato un vero e proprio punto di
riferimento per la scena del sud Italia. A ristampare tutto il loro
materiale (compreso il primo demo) è la solita e inarrestabile Area
Pirata che ha stipato la bellezza di 23 canzoni in un sontuoso
digipack dal titolo "N.I.A. Punx 1989-2019". Dentro trovate
letteralmente di tutto, viste le tante direzioni musicali presa dalla
band nel corso degli anni. Ci sono pezzi hardcore e brani più
squisitamente punk, randellate metalliche e ballate power-rock. E
anche i testi - quasi mai banali - alternano italiano e inglese, come
succedeva spesso in quel periodo incasinato che erano i primi anni
Novanta. Il disco parte con il combat punk-rock di "Voice of
freedom" e "In ginocchio mai", che mostrano alla
perfezione la dualità inglese-italiano di cui si diceva prima.
Chitarre minimali, batteria suonata e mille, cori che esplodono in
ritornelli a presa rapida: dentro i pezzi di questa raccolta c'è
davvero di tutto, dall'oi! al punk 77 fino, come detto, all'hardcore
furioso e metallico. I N.I.A. sono figli del loro tempo nel senso
migliore del termine, erano ingenui e sinceri, ma anche potenti e
capaci di scrivere pezzi trascinanti come l'esplosiva "No
eroina". E se "Sdp" sembra uscita da un concerto del
Virus e ricorda Impact e Wretched, "Last sacrifice" e
"Questa città" suonano granitiche come l'hc di New York di
fine anni Ottanta. "When I'll pass the limit" è invece una
ballata power-rock dal retrogusto amaro e intrisa di blues, così
come "Scendere a sud" (che è il suo contraltare in
italiano), mentre più ci si avvicina alla fine del disco più ci
imbatte in facili melodie flower-punk ("Power punk"),
incursioni oi! ("Warriors") e pezzi di hc melodico anni
Novanta con tanto di batteria tupa-tupa ("Suffer of children").
Una fotografia perfetta di un'epoca che sembra lontanissima. Che
cos'è l'eternità se gli anni Novanta era tanto tempo fa?
Tab_ularasa
- Faccia di fiori
Filastrocche
ipnotiche e viaggi spaziali dentro scatole di biscotti arrugginite.
"Faccia di fiori" di Tab_ularasa (pubblicato da Mondo
Tarocco records con l'ormai inimitabile marchio di fabbrica della
"sorella" Bubca) è ciò che dovrebbe essere oggi il punk:
diretto, minimale, fastidioso, inclassificabile, sincero, ingenuo,
urticante e povero. Un disco "rito propiziatorio", come lo
definisce Luca Tanzini - voce, chitarra e mente dietro Tab_ularasa -
che festeggia il solstizio d'estate, con 8 brani di musica fatta in
casa con scope, mestoli, chitarre rotte e vecchi computer.
"Goccioline", "Faccia di fiori" e "4 metri
sotto terra" sono cantilene monotone e marziali, dal sapore
ermetico e demenziale. "Pioggia e vento prosegue l'ondata di
maltempo" è un pezzo strumentale che taglia in due il disco,
grazie alla sua chitarra acustica affilata e meccanica. Con "Fatti
un selfie" inizia la seconda parte dell'album, quella più
sperimentale e krauta, che assomiglia alla colonna sonora di un film
balenare per alieni. Pura psichedelia spaziale, sempre intrisa di
poesia bambina ("Lo spaventapasseri"), ma con un sottofondo
di sonar e carambole interstellari ("San Pietro"), che
sapranno teletrasportarvi verso galassie lontane ("Mondo
tarocco"). Un disco apparentemente eterogeneo, ma che conserva
ha una coerenza di fondo fortissima. Quella di Tab_ularasa è musica
marziana che viene da lontano e che non ha - per fortuna - alcun
punto di riferimento.
AAVV
- Asbestos sampler 2019
Suoni
metallici e sconnessi, come una lama che cerca di forare l'acciaio.
Lunghe cavalcate psicheliche e viaggi all'inferno senza ritorno.
"2019 sampler", la compilation annuale di Asbestos Digt,
ormai una vecchia conoscenza per chi frequenta questo blog e per chi
ama la musica d'avanguardia più sghemba, dissonante e senza
compromessi, è come sempre una miniera di suoni e sensazioni
dannatamente inquietanti. "Lubna e Ranxerox (Instrument aginst
time mix)" (che titolo, ragaz!) dei Legendary Gay Cosplayers
(altro super nome!) - e cioè la prima traccia di questa raccolta
pubblicata solo in digitale sulla pagina bandcamp della casa
discografica - è una rasoiata di velenoso metal evoluto, intriso di
suoni pastosi e ruvidi. "The Dentist" di Fabio Fazzi,
invece, centellina una serie di note acquatiche e suoni lontani che
si perdono nel tempo: una sorta di preludio all'arrivo del terribile
trapano del dentista. Il terzo nome in scaletta è quello della
Furnasetta - collettivo di cui ormai sono totalmente innamorato - che
qui appare in collaborazione con Eljam. La lor "Mandik" è
parecchio diversa dalle cose ascoltate finora e ci regala una melodia
quasi esotica, mista a lamenti ed elettronica intermittente. Con
"Reactive metal" di HgM ci troviamo di fronte a una nuova
frontiera della psichedelia piuttosto rumorista, una sorta di
contraltare della traccia seguente: "Ecstasy of Saint Terese"
degli Outdoor Sex, che alla mistica sonica aggiunge un ritmo serrato
da marcia funebre interstellare. I Dope in the Pig Bags, con la loro
"The guide for the perplexed" sono puro "spippolamento",
mentre Buckminister - M.A.I. (non ho capito se si tratti di due
gruppi e o di uno solo) propone - o propongono - una sonata per
violini in fondo agli abissi, come una sorta di orchestrina lisergica
del Titanic poco dopo la collisione con l'iceberg. Il brano numero 8
è forse il pezzo più conturbante di questo sampler: "3"
di Bosna, infatti, è una danza robotica e vagamente psichedelica
alla Kraftwerk e alla Cunfusional Quartet. Le atmosfere cupe e
spaziali tornano a fare capolino con "Night lady I'm here"
di Leather Parisi & Lucy Mina, una lunga intro jazz metal
strumentale che sembra quasi la colonna sonora di un film di guerra
ambientato nella giungla di qualche pianeta sconosciuto. E se con
"Mithlab" i Cubic Centimetre ci regalano un minuto e pochi
spiccioli di rumorismo puro che lascia davvero poche tracce, a
chiudere i conti di questa compilation a suo modo estiva della
Asbestos ci pensano Girl In The Fridge e Little Boy Blue: dei cubisti
del rock'n'roll, che scompongono il suono per riassemblarlo a caso,
generando un'interessante ibrido di elettronica "a tentativi"
(non saprei come definirla altrimenti) dal titolo "And Now For
Something Completly Different". Qui trovate il link della
compilation:
https://asbestosdigit.bandcamp.com/album/various-artists-2019-sampler-asbestos-digit-64
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