Due recensioni al volo, anche per non perdere l'appuntamento mensile con questo scalcinato blog. Con l'autunno spero di riuscire a scrivere un po' di più. Non è una promessa, ma una minaccia.
Enkil / La Furnasetta - Industrial Archeology
Archeologia industriale è il termine giusto per definire questo split urticante fra Enkil e la Furnasetta, appena pubblicato su cassetta dalla svizzera Luce Sia. Due progetti musicali - quelli in messi in campo un questo disco - che, banalmente, potremmo definire di pura avanguardia, tra noise, sperimentazioni varie e metal estremo. Musica fragorosa e sferragliante, suonata con due tipi di approccio assai diversi. Gli Enkili, sempre che si tratti di una band, sembrano dei Massimo Volume da Istituto Luce. Una voce enfatica che si insinua tra rumori, scampoli di elettronica e musica meccanica. Sembra di sentire un coro di operai-messa morti sul lavoro, che mettono a processo il capitale. Non lo so, magari dico una cazzata, ma è questa la sensazione che mi dà questo lato dello split. Ci sono pezzi lunghi 5 minuti e persino lunghissimi ("Madre" che supera i 10 minuti), ma anche brani più "a misura" come la conclusiva "Vento" che, con la sua lenta coda elettronica, suona come un perfetto epilogo.
A questo punto tocca alla Furnasetta, di cui ormai parlo con una certa frequenza, vista la mole di uscite recenti (tra compilation, dischi e, appunto, split). Senza tradire la sua tradizione avant e il suo storico amore per il rumore, la band piemontese, in questo disco, sposa il tema industriale attorno il quale girano i due lati della cassetta. Dopo un intro insolitamente a basse frequenze, "Fonderia informe" raccoglie i suoni della fabbrica dentro una crisalide elettronica. "North sentinel" ha un incidere cadenzato e ossessivo, con voci di sottofondo quasi indecifrabili, che si mescolano alla musica fino a soppiantarla. "Schegge di un'estate senza fine" è claustrofobica e dark come una gita notturna in una centrale nucleare abbandonata: si sente quasi il lamento degli spiriti che viaggiano tra i laboratori e a un certo punto arriva una voce di donna, dai toni spettrali, che parla della paura
"Submit to force", invece, ricorda dei Prodigy da officina, con il suo ritmo che via via si fa sempre più danzereccio, mentre la chiusura di "VII Legio" è un'altra variante del rumorismo, questa volta insistente e quasi spensierato, come un bimbo-robot deciso a rompere tutto.
Pi$ - s/t
L'altro giorno, mentre stavo andando a comprare il pane, ho avuto la malsana idea di dare un'occhiata alla pagina bandcamp della Bubca Records (altro nome che gli sventurati quattro lettori di questo blog conosceranno a memoria). E cosa ti becco: il disco (o forse il singolo) di un gruppo mai sentito prima e di cui non ho trovato neppure mezza informazione, I Pi$. O meglio le Pi$, visto che in questi quattro pezzi rapidi come una sciabolata la voce princiale e le doppie voci sono tutte femminili. Un altro indizio arriva con la terza traccia: "IOMISONOINNAMORATODITE", unico pezzo in italiano del disco (e stranamente declinato al maschile) da cui si evince la nazionalità della band. Per il resto a parlare sono le quattro canzoni di questo mini album omonimo e della grafica bellissima in stile Bubca. Le Pi$ suonano un pop scarnificato e appiccicaticcio, costruito su ottime melodie vocali dal suono stridulo e acido, che si muovono su un tappetto sonoro essenziale e semiacustico. Punk nell'approccio ma non solo. Come delle novelle Slits senza la fascinazione per il lato black della musica, con qualche richiamo anche alle più recente Goat Girl di casa Rough Trade. Se non fossi stato abbastanza chiaro: questi quattro pezzi sono una bomba. E non vedo l'ora che Luca Tanzini - boss della Bubca e tante altre bellissime cose - mi dica qualcosa di più sulle Pi$ (che, tra l'altro, hanno un nome della madonna).
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